«Umanità dissestata» è il tema che la comunità filosofica di Diotima ha scelto per il suo Grande Seminario di quest’anno. Anche il sottotitolo risponde a una questione importante: «La scommessa femminista oggi». Levar di sesto, squilibrare, turbare ma anche creare instabilità; l’etimologia della parola «dissestare» è piuttosto chiara e in quel «levare» compare qualcosa che interviene a confondere ciò di cui fino a quel momento si erano potute leggere e codificare – con una grammatica precisa – condizioni, rappresentazioni e senso.

Il seminario avrà inizio all’Università di Verona venerdì 2 ottobre dalle ore 17,20 fino alle 19,20. Apriranno il ciclo di incontri Lucia Bertell e Chiara Zamboni. Nei successivi venerdì, fino al 6 di novembre, si potranno ascoltare gli interventi di Federica Giardini, Annarosa Buttarelli, Alessandra Allegrini e Luisa Muraro, Marialivia Alga e Sara Bigardi, Antonietta Potente (il programma completo su www.diotimafilosofe.it). Molte le parole e le questioni che verranno sollevate: ordine simbolico e ordine sociale, immanenza e trascendenza, radicalità, tecnoscienze, eccedenza e contraddizioni.
Ancora una volta la comunità veronese, nata nel 1983, offre l’ottima pratica seminariale come occasione di scambio, contaminazione e interrogazione sul presente.

Sconquassi dell’esistente
Partendo dal titolo scelto, una serie di nodi si fanno avanti ed è proprio intorno a essi che Diotima lancia la sfida di questo nuovo incontro. L’intenzione, sarà bene precisarlo, non è l’urgenza di ristabilire un ordine costituito, né attrezzarsi di un sesto cioè un compasso attraverso cui tracciare rotondità esatte alle quali attenersi: «L’armonia statica è una rappresentazione mortifera della realtà e chi la persegue lo ha sempre fatto tagliando via ciò che è eccentrico, vitale, non accetto».
Umanità dissestata è invece l’istantanea di ciò che è già accaduto e che chiunque ha dinanzi quotidianamente, una realtà raggomitolata su se stessa, sbrindellata e troppo pesante da sostenere e decifrare sovrapponendo un po’ a caso un piano all’altro. Il dissesto ha però più di un’accezione. Intanto è l’esito sociale, economico e politico di ciò che da un lato ci viene offerto dalla retorica neoliberista che suggerisce libertà lisce e promettenti progetti, una paccottiglia di significati manipolati in cui tutti hanno ragione a patto che niente intorno cambi di una virgola.
Per un altro verso è sul dissesto che l’insorgenza del femminismo ha puntato la propria rivoluzione simbolica. «Il femminismo non ha mai teso ad una differenza sessuale armonizzante in cui si desideri fare Uno. Anzi, ha saputo giocare nello scarto tra l’uno e il due, nello scarto tra ricerca di sé e apertura all’altro, facendo leva sulle asimmetrie simboliche, non pacificanti, sul dissesto, sullo sconquasso come pertugio per cui può avvenire altro. È così che ha saputo tracciare nuove vie».

Una scommessa aperta
Nel documento di presentazione del seminario si apprende tuttavia anche dell’altro: «Sperimentiamo un pieno di idee e di iniziative e di interpretazioni della realtà che più che aiutare oggi ci confondono». Ciò che ci viene sottratta è infatti «la possibilità di contrattare le linee generali dei movimenti di realtà più ampi. Così possiamo dire che viviamo troppo di tutto, ma che è il senso della vita a scarseggiare».
Vita e umanità non devono apparire sinonimi ed è a questa altezza che emerge la prima spina. Perché richiamare l’umanità da parte del femminismo non determina certo avvalersi di un paradigma antropocentrico già ampiamente scrostato ma stare esattamente sull’orlo del suo dissesto. Avere la forza, il coraggio di nominare il baratro e la violenza etica che vi si annida e stare in prossimità dei viventi.

Se a creare scompenso sono anche gli effetti ormai triturati della globalizzazione, così come l’inadeguatezza di finissime analisi che, tuttavia, lasciano drammaticamente inalterate le vite di ciascuna e ciascuno significa che la scommessa deve alzare il tiro, mutare se possibile la propria grammatica. Che di questo dissesto allora ci si faccia carico, con generosità verso i viventi e la materialità delle vite. Che di questa complessità si partecipi non come soggettività etiche chiamate a salvare le sorti del mondo ma nel taglio politico della realtà che il femminismo ha dentro la sua stessa nascita e in ciò che in questi ultimi quarant’anni ha prodotto in termini di pensiero e pratiche politiche. «Vorrei vedere se l’umanità viene alla luce nei momenti di emergenza. So che ne ho bisogno per me. Vorrei scandagliare i bassi fondi dell’umanità».

Era il 17 maggio del 1974 quando Carla Lonzi, dalle pagine del suo diario, se lo domandava. Riconoscendo il bisogno, prima del desiderio, di immergersi nell’umanità, «nel suo momento di presenza a se stessa, per esempio quando soffre o ha un destino avverso o comunque non è adagiata nel sonnambulismo quotidiano». Forse perché si deve aver toccato il dissesto per poter discutere di chi lo abita.
Allora verrà alla luce o no, quello che immaginava Lonzi come un luogo lontano dalla disumanità? E al contempo si potrà trovare rinnovata forza per significare questo disastro umano del presente? Si potranno trovare parole che ribaltino l’assedio del disamore diffuso? A questo riguardo, sarà interessante andare ad ascoltare ciò che Diotima pensa di mettere in circolo intorno alla scommessa femminista oggi.