La dichiarazione è arrivata dopo una riunione breve. A farla, è stato il ministro dei beni culturali Dario Franceschini. Con amarezza ha comunicato ai giornalisti che non è stato trovato un accordo tra la Fondazione del Salone del libro e la Fabbrica del libro per dedicare un unico appuntamento all’editoria, scandito tra Milano e Torino. Franceschini ha parlato di occasione mancata che avrà conseguenze pesanti non solo per l’industria libraria, ma per l’intero sistema-paese. A rinforzare il giudizio negativo, sono arrivate le parole della titolare del ministero dell’Istruzione, Stefania Giannini. Entrambi i ministri hanno puntato il dito contro le troppe rigidità presenti nei due schieramenti.

A latere delle prime reazioni è scattata subito l’operazione di scaricare l’uno sull’altro le responsabilità del fallimento dell’incontro. Ha aperto le danze Federico Motta, presidente dell’Associazione italiana editori, ponendo un poco precisato «problema legato ai vincoli dello spazio espositivo del Lingotto», evidenziando così l’impossibilità da parte di Torino di immaginare un altro «format» rispetto al tradizionale Salone. Sempre per lo stesso fronte milanese ha parlato Renata Gorgani, presidente della Fabbrica del libro: «la nostra era una proposta forte: un unico evento ma con appuntamenti specializzati nelle due città». Detto più semplicemente: a Torino il compito di funzionare come una enorme libreria con appuntamenti dedicati ai librai. Dunque nessuno stand degli editori. A Milano, il compito di allestire gli spazi espositivi di editori italiani e «stranieri», nonché l’organizzazione degli incontri con gli autori. A sostegno di questa proposta, Renata Gorgani ha parlato del consenso di editori come Laterza, Feltrinelli e di alcuni «ribelli» in rotta con l’Aie. Ma questa era la proposta che i «torinesi» non volevano proprio sentire.

È la sindaca di Torino Chiara Appendino che scende subito su pista, considerando chiusa la vicenda e invitato i suoi ad andare avanti velocemente: il tempo per organizzare un Salone del libro competitivo è poco. Da qui l’annuncio che lunedì saranno convocati tutti i soci della Fondazione per definire i programmi dei lavori. Sergio Chiamparino, governatore del Piemonte, ha ricordato che all’incontro erano andati con una proposta che rispettava la volontà del ministero dei Beni culturali di trovare un accordo: Torino avrebbe fatto sì un Salone del libro, ma con un programma che non si sovrapponesse alla kermesse meneghina. I «milanesi», secondo Chiamparino, hanno invece spinto affinché tale accordo non potesse essere raggiunto: «abbiamo difeso la dignità di Torino e della storia trentennale del Salone», ha concluso il governatore piemontese.

L’appuntamento di ieri è stato preceduto da indiscrezioni, rumors per nulla incoraggianti. Nei giorni scorsi, alcuni quotidiani hanno pubblicato articoli nei quali veniva ventilata la volontà di rottura da parte del presidente dell’Aie, Federico Motta. Ipotesi smentita come vuole la prassi dallo stesso Motta, ma confermate ieri dal comportamento dei «milanesi» durante la riunione secondo quanto hanno dichiarato i «torinesi». Ad aumentare la tensione, hanno presentato un testo sottoscritto da 72 editori dove si sosteneva che i firmatari erano intenzionati a partecipare solo alle sessioni torinesi del Salone del libro, nel caso fosse stato raggiunto un accordo. Posizione che all’Aie ha rubricato come un atto di ostilità dei «ribelli» nei confronti del suo presidente, ripetutamente criticato – va ricordato – per come ha gestito questa vicenda, dopo che molti editori erano usciti dall’associazione in seguito all’annuncio di Motta di fare una fiera del libro a Milano. Poco sono serviti i tentativi di mediazione, di invito ad abbassare i toni della polemica di alcuni grandi editori (Laterza, Feltrinelli) verso tutte le parti in causa.

Agguerriti erano i nove editori che sono usciti in polemica con l’Aie. Le case editrici e/o, minimun fax, nottetempo, Lindau, ad esempio, individuavano nella scelta di Motta di rompere con il Salone del libro di Torino la volontà di stravolgere l’appuntamento degli editori in favore di una fiera commerciale che privilegiasse solo i grandi editori, sottolineando il fatto che l’Aie non rappresentasse il mondo dell’editoria, ma solo i più forti. Lo spostamento del Salone del libro a Milano era funzionale a quel processo di concentrazione editoriale (ma anche della distribuzione e della vendita) che ha portato, negli anni scorsi, alla chiusura di molti piccoli editori e alla riduzione della bibliodiversità. E sono stati sempre loro ieri ad invitare tutti i piccoli editori a «scendere in campo» per fare del Salone del libro di Torino un grande appuntamento nazionale.

Si chiude, almeno per il momento, una vicenda iniziata con porte sbattute in faccia e dichiarazioni di fuoco e conclusa con una rottura che appare definitiva. Da un lato, un Salone del libro appannato e in difficoltà dopo gli scandali che hanno coinvolto alcuni esponenti del vecchio consiglio di amministrazione. Dall’altra, si è schierata una parte dell’Aie che voleva attrarre capitali freschi e rompere la consuetudine torinese di considerare tutti gli editori eguali. Non era certo così, ma formalmente un piccolo editore poteva chiedere spazi espositivi eguali a quelli di un grande editore. Tra marzo e aprile ci saranno dunque due appuntamenti nazionali dell’editoria l’uno contro l’altro armato. Ma più che segno di vitalità del settore è sintomo di una crisi radicale di vendite. E di idee.