Il muro dell’acqua è stato costruito negli ultimi venticinque anni. Anche se esistenti da tempo, i materiali per l’edificazione sono stati utilizzati a partire dagli anni ’90. Prendiamo, ad esempio, il primo: il principio che in una società capitalista di mercato un bene è un bene economico, cioè privato, se è oggetto di rivalità e di esclusione. Elaborate da Paul Samuelson nel 1950, Premio Nobel per l’economia nel 1970, le teorie sul bene economico hanno consentito ai gruppi dominanti di iniziare un processo di capovolgimento delle teorie economiche sui diritti umani e l’economia del welfare. Essi hanno sostenuto che non solo l’acqua ma la grande maggioranza dei beni (e servizi) strumentali alla soddisfazione dei principali diritti umani sociali ed economici sono oggetto di rivalità e di esclusione e, quindi, dei «beni economici» (oggi si dice di «rilevanza economica»). Così, quando le forze ostili all’economia del welfare e all’intervento dello Stato conquistarono il potere alla fine degli anni ’80, la comunità internazionale, in preda alle grandi ondate di globalizzazione liberista predatrice, affermò nel 1992 (alla Conferenza dell’Onu sull’acqua a Dublino) che l’oro blu doveva essere considerato essenzialmente come un bene economico sottomesso alle logiche dei mercati, e non più un bene sociale, un bene comune (il cosiddetto «terzo principio di Dublino»).

Il secondo “materiale” è stata la tesi che il valore di un bene (e di un servizio) si definisce e nasce anzitutto nel mercato, dal mercato, ai costi di mercato. Il valore dell’acqua non sta nella sua valenza per la vita, per il diritto alla vita, né unicamente nel valore d’uso, ma essenzialmente nel valore di scambio. Il diritto all’acqua comporta costi notevoli e richiede infrastrutture, competenze e capacità manageriali che solo, si è affermato, organizzazioni private di tipo industriale e commerciale, aperte alla concorrenza internazionale, sono in grado di garantire. Di fronte, anche, ai fenomeni di rarefazione crescente delle risorse idriche nella qualità buona per usi umani, aggravati dai disastri ambientali, è stata affermata l’idea che è diventato impossibile per le autorità pubbliche finanziare i costi crescenti dell’acqua attraverso la fiscalità generale e specifica. Tocca ai «consumatori e agli utenti dei servizi idrici»  coprire i costi mediante il pagamento di un prezzo abbordabile, in funzione dei consumi e delle utenze. Il diritto umano all’acqua lascia il campo dei rapporti pubblici d’impegno e di responsabilità tra la comunità  e i cittadini, vincolanti per tutti nel perseguimento dell’interesse generale, per entrare nel campo delle relazioni contrattuali di tipo privato, mercantile, tra prestatori di beni e di servizi e utenti e utilizzatori, in un contesto di concorrenza aperta su tutti i fronti.

Infine, il muro è stato consolidato con “materiali” di coesione e di controllo tipici di un’economia capitalista. Mi riferisco alla finanziarizzazione dei beni e servizi comuni pubblici in una logica di rendimento competitivo su scala mondiale. Da qui i processi di monetizzazione dei corpi idrici, bacini idrografici compresi, e degli ecosistemi in generale nonché, da alcuni anni, di bancarizzazione dell’acqua e della natura, cioè un complesso sistema di strumenti finanziari su mercati specializzati sempre meno sotto il controllo  degli Stati e delle autorità pubbliche, e sempre di più sottomessi alla violenza degli attori finanziari più forti e speculativi.

La manomissione del mondo dei diritti ad opera delle logiche finanziari private è quasi ultimata. Il muro dell’acqua, ora che è giunto alla sua terza fase, quella della finanziarizzazione, è diventato mondiale, apparentemente invalicabile.  Gli ultimi atti di consolidamento formale provengono dall’Onu. Penso al documento presentato  quest’anno dal nuovo Rapporteur spécial sullo stato dell’accesso all’acqua a costo abbordabile nel mondo: non mette mai in questione il principio dell’obbligo del pagamento di un prezzo, ma analizza e mette a confronto le forme di «tariffazione sociale» adottate a favore delle popolazioni povere e in difficoltà socio-economica.  Oppure all’adozione solenne, da parte dell’Assemblea speciale dell’Onu riunita a Vienna a fine settembre 2015, della nuova Agenda Post-2015 (per i prossimi 15 anni) e, in particolare, degli Obiettivi dello Sviluppo Durevole. Stessa conferma: l’accesso all’acqua deve passare attraverso il pagamento di un prezzo abbordabile.

A mio parere l’abbattimento del muro sarebbe possibile se una parte  dei rappresentanti  al Parlamento europeo, con il sostegno di parlamentari nazionali e regionali e delle collettività locali, conducesse una serrata guerriglia costituzionale e politica. Con il termine guerriglia intendo dire l’importanza che essi intervengano  per modificare le molte (piccole) disposizioni legislative di natura sostanziale, organizzativa, procedurale che hanno condotto alla costruzione del muro e al sistema monetario e finanziario. Un continuo e coordinato lavoro di proposte di modifica delle disposizioni, per esempio, in materia d’acqua, di sementi, di agricoltura contadina e sostenibile, sui legami tra l’acqua, l’industria agrochimica e farmaceutica, sulla grande distribuzione e i mercati della salute. Ciò permetterebbe di realizzare importanti modifiche regolamentari di forma e di sostanza, tali da far breccia nel muro e sul resto dell’edificio.

I movimenti di cittadini potrebbero collaborare in quanto fonti di conoscenza, competenze e esperienze innovatrici, al servizio  dell’iniziativa comune europea. I cambiamenti strutturali avvengono dopo anni di rivolta, di modifiche delle leggi, delle procedure, delle istituzioni. La rivoluzione ha bisogno d’immaginazione, di utopia e di tante gambe (grandi e piccole). L’esperienza storica ci dice che se alcuni parlamentari iniziassero la guerriglia, centinaia di associazioni di cittadini dell’Ue diventerebbero rapidamente le gambe di cui vi è bisogno.