Un patrimonio architettonico e paesaggistico immenso, segnato dall’avvicendarsi di popolazioni e culture – dai Persiani ai Mongoli fino agli Arabi, i Greci e i Romani. Inseguire la rete dei caravanserragli significa posizionarsi in mezzo al mondo, al centro di un network globale fin dal suo manifestarsi: d’altronde, le rotte mercantili hanno contribuito non poco a creare nuovi territori culturali e poi politici. Per via di terra, a dorso di cammello o su elefanti, l’arte del commercio si è propagata come un virus, lasciando dietro di sé tracce, infrastrutture, edifici, luoghi di sosta, bazaar.

Gli «spazi aperti» che s’incontrano lungo le vie carovaniere posseggono infatti una varietà inaspettata, disegnano una geografia caleidoscopica dello scambio e dell’incontro assai diversa da quella dei confini e delle frontiere che viene stabilita da trattati internazionali, spartizioni di guerra e convenienze dei potenti di turno. A volte, sono i taccuini di viaggio di artisti e scrittori dei secoli scorsi a raccontarci quelle traiettorie, a segnalarci posti stratificati nella memoria di generazioni e ricchi di storia. Il problema, dunque, è come farli vivere ancora, conservandoli e allo stesso tempo, reimmaginandoli.

Il libro Iran. Città, percorsi, caravanserragli (pp. 263, euro 30, Edilstampa) di Alessandra De Cesaris, Laura Valeria Ferretti e Hassan Osanloo tenta una mappatura di quel territorio per esploratori della Via della Seta ripercorrendo le tappe fra monti e deserti, cercando costruzioni lungo i fiumi, rinverdendo la tradizione antichissima persiana dell’ospitalità. La scoperta è che le architetture non erano effimere o improvvisate, ma mostravano una grande varietà di tipologie, racchiudevano tra le loro mura un patchwork di stimoli culturali e si andavano adattando ai climi che andavano ad attraversare. Sono paesaggi mai smarriti che rinascono – in questa puntuale indagine conoscitiva – con testi, fotografie, disegni e schizzi, alcuni direttamente recuperati dai diari del passato. Ne esce fuori un atlante fuori genere dove gli spostamenti continui delle persone e il loro intrecciarsi delle strade costituivano un mondo parallelo.

Il libro, nato come riflessione progettuale da cinque gruppi di progettazione che hanno lavorato in un workshop insieme – italiani e iraniani – vuole presentare anche possibili modelli di intervento per la salvaguardia di quegli avamposti della civiltà: il caravanserraglio è un albergo non solo per il corpo affaticato, ma anche un ristoro per la mente e rappresenta una possibilità di «fare comunità». Ai fini della ricerca, l’altopiano iranico può essere considerato il luogo perfetto dove intrecciare fili sottili tra popolazioni nomadi, agricole, mercanti, pellegrini, viaggiatori per avventura.

I caravanserragli qui venivano realizzati a una distanza di circa trenta-quaranta chilometri l’uno dall’altro (un giorno di cammino di una carovana): è un sistema organizzato della sosta, dall’alba al tramonto, che deve fare i conti con un paesaggio non proprio agevole da percorrere e che oggi viene scandito nella sua geografia proprio da queste «infrastrutture», ricordando l’importanza vitale della Via della Seta. Molti caravanserragli iraniani sono stati utilizzati fino al 1944, anche se ai nostri giorni gran parte sono finiti in rovina, costellando il territorio di una moderna «archeologia del viaggiatore». Il problema è ridonare funzione a ognuno e il workshop ha ipotizzato una rete di caravanserragli dismessi da rivitalizzare con il loro riuso, rispettando il loro identikit originario: luoghi dello scambio e quindi centri propulsori per la diffusione dei saperi, oltre che delle merci. Artigianato e turismo potrebbero essere le due parole chiave per non «monumentalizzare» quelle architetture e per far germinare dalle loro fondamenta una nuova esistenza, non intaccata dall’industrializzazione.