Rimanere non ha più senso, non si ha più la possibilità di incidere. La decisione di lasciare viene dopo un lungo tormento ma mi è sembrato che non ci fossero alternative per la piega che ha preso il Pd con Renzi». Nella saletta stampa di Montecitorio affollata per l’occasione, Alfredo D’Attorre ufficializza il suo lento addio al Pd. Con lui lasciano anche il politologo bolognese Carlo Galli e il deputato lucano Vincenzo Folino. Dal Pd altri seguiranno, ne sono convinti. Perché, scrivono nel documento «Ricostruire la sinistra» inviato ai circoli Pd a caccia di consensi, «restare significherebbe sostenere il progetto renziano nei tre appuntamenti cruciali dei prossimi mesi: le amministrative, il referendum costituzionale e le politiche che vi faranno seguito. Il rischio è che l’Italia diventi l’unico grande paese europeo in cui la sinistra viene cancellata».

D’Attorre ha il viso tirato, la decisione non è stata un pranzo di gala per lui, allievo diletto di Bersani. «Pier Luigi ha espresso rispetto per la mia scelta pur non condividendola. Lui più di tutti vuole bene al Pd e sarà l’ultimo a rassegnarsi». Dal Transatlantico l’ex segretario lo ricambierà con affetto: i tre che se ne vanno, dice ai cronisti, «sono tutti bravissimi». Vogliono dar vita a un soggetto di centrosinistra «che affondi le radici nell’ulivismo»? «Io – risponde – lavoro per la stessa cosa ma dentro il Pd. Se poi il Pd diventa un’altra cosa…».

C’è chi la interpreta come una crepa nel granitico muro dell’appartenenza dem. Per D’Attorre il dissenso nel Pd «non è neppure preso in considerazione» e «se la minoranza è d’accordo anche con i tagli alla sanità» – allude al governatore della Toscana Rossi che si è autocandidato alle primarie contro Renzi – «vuol dire che la dialettica interna ormai è ridotta a una finzione». Ora «un nuovo inizio». Sabato 7 novembre al teatro Quirino di Roma verrà presentato il nuovo gruppo alla camera: i 25 di Sel, i 5 ex Pd (oltre ai tre usciti ieri ci saranno anche Stefano Fassina e Monica Gregori), Claudio Fava di ritorno a casa. Civati non sarà della partita: resta nel misto a cercare di attirare gli ex grillini di sinistra.

Ma in realtà il fondatore di Possibile avrebbe ancora molte perplessità sul percorso comune in atto a sinistra, spiegano i suoi. Di qua invece lo aspettano a braccia aperte convinti «che i nostri percorsi si riunificheranno».

Per ora il nome del gruppo resta coperto. Potrebbe essere «Sinistra italiana» o «La sinistra». Nascerà anche una nuova componente del gruppo misto del senato: con i sette di Sel, due ex M5S (Campanella e Bocchino), Corradino Mineo. «Mettiamo il nuovo gruppo a disposizione di una nuova forza non residuale, larga, plurale, non identitaria o settaria», dice D’Attorre. Ma mai dire ’cosa rossa’: «Invitiamo i giornalisti a superare questo cliché. Noi pensiamo a una forza della sinistra di governo, che possa essere un riferimento per quelli che sono usciti o che intendono uscire dal Pd». «Il termine ’cosa rossa’ è folklore», rincara Galli, «è velleitarismo, avventurismo. Noi avremo un nome e un cognome». E un’analisi: Renzi per il professore «non è di sinistra, il suo modello è una democrazia plebiscitaria e priva di contrappesi». I nuovi gruppi debutteranno alle camere la prossima settimana, poi verranno presentati nelle città come il braccio parlamentare di un nuovo soggetto. Che sarà ispirato anche alle «radici uliviste». Citazione non casuale: la prima creatura di Prodi non è nel dna di tutta la sinistra fuori dal Pd, non tutti gradiranno.

Infine c’è il nodo delle amministrative, altro punto delicato sul quale il tavolo della ’cosa rossa’ ha trovato una quadra che dovrebbe – il condizionale è d’obbligo – essere siglata proprio oggi. Nelle città sono in corso grandi scossoni. A Bologna l’alleanza Pd-Sel è agli sgoccioli, così come a Torino; a Milano incombe la candidatura di Giuseppe Sala, impotabile a sinistra. «Cercheremo un rapporto positivo con la minoranza Pd e lavoreremo ovunque per spostare la barra più a sinistra», annunciano gli ex dem. «A Roma per esempio si può mettere insieme una candidatura da offrire all’intero campo delle forze sane di sinistra, democratiche e progressiste». Circola già il nome di Stefano Fassina.

Ma anche in questo caso le opinioni in famiglia sono variegate. Proprio ieri Civati ha ’endorsato’ l’ex sindaco Ignazio Marino. «Se dovesse chiederci una mano, anche in una sua nuova corsa a sindaco di Roma, sicuramente la troverebbe tesa».