La manifestazione nazionale del 26 novembre esprimerà la grande forza delle donne. A dirlo senza tentennamenti è Titti Carrano (Di.Re – Donne in Rete contro la violenza) che ieri, nella sede della Federazione nazionale della Stampa Italiana, ha partecipato alla conferenza di presentazione del progetto «Non Una Di Meno». Insieme a Carrano, Vittoria Tola (Udi), Simona Ammerata e Tatiana Montella (Rete Io Decido) e la giornalista Luisa Betti Dakli che ha moderato la discussione; tutte a vario titolo impegnate nella organizzazione e nel sostegno della manifestazione di sabato. Quella del 26 novembre non è una tappa isolata, né occasionale. È invece un percorso lungo di mesi che si è andato costruendo nei singoli territori per cercare ragione su alcune questione non più rimandabili. Se infatti, come ricorda Luisa Betti Dakli, il femminicidio è fenomeno strutturale ma endemico, è altrettanto vero che ciò che si è consumato negli scorsi mesi in Italia ha provocato molte mobilitazioni di cui quella del 26 sarà un esito più esteso.

«Un terzo delle donne italiane, straniere e migranti, subisce violenza fisica, psicologica, sessuale, spesso tra le mura domestiche e davanti ai propri figli», dicono le organizzatrici e dall’inizio dell’anno, solo in Italia, i femminicidi sono stati 123.

Non ci sono dati certi; e se da un lato ciò che emerge è la ricognizione dei numeri da parte dei centri anti-violenza, meritevoli non solo di questo ma di aver fatto di quei luoghi spazi di libertà e di narrazione per le donne che vi si rivolgono, è importante sottolineare ciò che dice Vittoria Tola in merito a questa «vaghezza» dei dati che determina l’inconsistenza di politiche adeguate e la mancanza di cantieri istituzionali che forniscano formazione. Tutte le intervenute hanno concordato sul grave errore di considerare la violenza maschile come un’emergenza, bisogna invece guardarla per quella che è: trasversale e incistata nella società. Il lavoro delle aderenti alla rete «Non Una Di Meno», nell’assemblea nazionale dell’otto di ottobre a Roma che ha visto quasi 600 partecipanti tra movimenti, associazioni e singole, ha sentito l’esigenza di incontrarsi – pure nelle differenze – per valutare l’ipotesi di scrivere un piano femminista antiviolenza. Piano che andrà a corredarsi dei materiali di domenica 27, quando si avvierà la seconda fase del progetto «Non Una Di Meno» che prevede 8 tavoli su temi diversi, apparentemente laterali ma che invece riguardano da vicino il tessuto da indagare riguardo la violenza.

Data la straordinaria partecipazione – al momento sono oltre 1300 le iscritte per la giornata del 27 – si sta valutando la sede più appropriata che verrà comunicata al più presto ma che verosimilmente sarà la Facoltà di Psicologia dell’Università Sapienza di Roma. Un numero straordinario di donne che arriveranno da tutta Italia e che lascia ben sperare su una grande, partecipatissima manifestazione anche il giorno prima. Oltre al fatto di segnalare il desiderio insopprimibile di confrontarsi.

I temi di discussione per il piano antiviolenza femminista perlustrano un arcipelago cruciale. Si va dal piano legislativo e giuridico – che prenderà in esame anche i principi della convenzione di Istanbul che si scontrano con la pratica dell’ambito penale, al lavoro e welfare in cui si affronterà, tra l’altro, l’aspetto spinoso delle molestie sessuali sul posto di lavoro.Il tavolo sull’educazione alle differenze, all’affettività e ala sessualità avrà come obiettivo delineare i punti e le strategie più efficaci per la prevenzione e il contrasto alla violenza maschile. Il quarto tavolo sarà invece dedicato al femminismo migrante che si porrà come indirizzo quello dell’analisi di ogni forma di fondam entalismo.

Sessismo nei movimenti, diritto alla salute sessuale e riproduttiva (con la piaga dell’obiezione di coscienza che rischia di svuotare definitivamente la 194), narrazione della violenza attraverso i media e infine i percorsi di fuoriuscita andranno a definire gli ultimi tavoli.