La Corte costituzionale ha dichiarato ammissibile il referendum sulle trivellazioni entro le 12 miglia marine, in relazione alla durata dei titoli minerari, come disposta dalla legge di stabilità 2016. Con l’entrata in vigore di quella legge, infatti, l’articolo 6 – precisamente al comma 17 – del Codice dell’ambiente è stato modificato: i permessi di ricerca e le concessioni di coltivazione sono fatti salvi per tutta la durata di vita utile del giacimento. E questo vuol dire che non hanno scadenza certa. Con un duplice effetto: la possibilità di estrarre senza limite temporale; la possibilità che i permessi già rilasciati restino vigenti oltre la durata già fissata dal provvedimento amministrativo. Evidentemente nella speranza che prima o poi la normativa sul divieto entro le 12 miglia marine cambi.

Nonostante le obiezioni mosse dal governo, e sebbene la sentenza non sia stata ancora depositata, la Corte costituzionale avrà certamente ritenuto che una durata «sine die» dei titoli minerari contraddicesse uno degli obiettivi dei promotori, posto già a base di un altro quesito referendario: quello di contenere la durata di tutti i titoli, attraverso il divieto di rilasciare proroghe oltre i sei anni per la ricerca e oltre i trenta anni per l’estrazione. Ma questo solleva ora un problema ulteriore, giacché la Cassazione ha dichiarato chiuse le operazioni referendarie per tutti gli altri quesiti e, dunque, anche per quello sulle proroghe dei permessi e delle concessioni.

È una contraddizione in termini: a seguito delle modifiche del parlamento, infatti, il contenimento della durata dei titoli riguarderà solo i nuovi «titoli concessori unici», ma non anche i permessi e le concessioni, che potranno beneficiare di proroghe ulteriori.

D’altra parte, insoddisfatta resta anche la richiesta referendaria sul piano delle aree; e ciò perché il quesito proposto dalle Regioni presupponeva necessariamente il mantenimento del piano. Ma la legge di stabilità ha abrogato il piano. Questo vuol dire che è sparita la norma sulla quale far votare i cittadini. Per questa ragione, venerdì prossimo nove regioni (eccezion fatta per l’Abruzzo) promuoveranno dinanzi alla Corte costituzionale un conflitto di attribuzione, allo scopo di recuperare sia il quesito sulle proroghe sia quello sul piano delle aree.

Rispetto a questo scenario, il governo ha davanti a sé due strade: consentire che si vada a referendum (sul quesito sul mare ed eventualmente su quelli relativi alle proroghe e al piano delle aree, qualora il conflitto di attribuzione si risolva positivamente) oppure modificare nel senso voluto dalle Regioni la normativa oggetto di referendum.