Nella storia del calcio mondiale ci sono state delle sfide che hanno lasciato il segno, spesso proprio grazie a una divisa «sorprendente», atipica, unica. Eccone qualche esempio.
La partita Francia-Ungheria nel girone eliminatorio dei Mondiali in Argentina (1978) comincia inspiegabilmente con mezz’ora di ritardo: quando le squadre entrano in campo, la Francia indossa un’inconcepibile maglietta a righe biancoverdi. Entrambe le compagini si erano presentate con le seconde divise (bianche) e il problema venne risolto trovando nei magazzini dello stadio, le casacche di una squadra locale.
Le semifinali degli Europei nel Regno Unito 1996 comprendono una Inghilterra-Germania che può essere la rivincita della finale di Wembley per i Mondiali di trent’anni prima. Molti, tra giornalisti e spettatori (in particolare britannici) si augurano che campeggi la mitica maglia rossa, con la quale l’Inghilterra si aggiudicò la Coppa Rimet nello storico 4 a 2 sui tedeschi. Ma gli sponsor hanno la meglio e Gaiscogne & Co. giocano in uno scialbo grigio, che porterà sfortuna: vincono Sammer e compagni ai rigori e poi il titolo, contro i la Cecoslovacchia, al Golden Goal.
Il Brasile, avendo quattro colori nella bandiera nazionale – campo smeraldo, rombo giallo, globo azzurro, stelle bianche – opta per una tranquilla maglia bianca, convinto di stravincere i Mondiali organizzati in casa nel 1950. Ma quando, all’ultima partita, basta un pareggio, arriva l’1-2 della Celeste (l’Uruguay di Chiggia e Schiaffino). La federazione brasiliana in segno di lutto, toglierà da allora il bianco dalle «camisete», orientate definitivamente al verde-oro.
A volte le brutte maglie portano fortuna, come per il 7-1 inferto dalla Germania ai padroni di casa nella semifinale dei Mondiali in Brasile (2014). I «campioni» di Scolari giocano in verde-oro, mentre gli undici di Löw con un assurdo rossonero a rigoni orizzontali in puro stile rugby: ma dove è finito il giallo della bandiera? Irreperibile anche sull’altra casacca bianca con una fascia in tre tonalità di rosso cupo.
Il palmares alla peggior divisa spetta forse all’Inter scesa in campo contro il Napoli nel campionato1995-96: maglia a righe verticali verde petrolio e verde pisello, calzoncini e calzettoni con gli stessi colori: pare il neroazzurro originario trattato con acido muriatico. Qualcuno sostiene che siano le sfumature della pelle del Biscione (simbolo del Comune di Milano). E tornare magari alla terza maglia arancione degli anni Trenta?
Corre voce fra i molti tifosi (e altrettanti detrattori) della Juventus che i colori blu e giallo le portino jella: tuttavia la finale di Champions League con l’Ajax vinta ai rigori sembra l’eccezione per una squadra che, in fatto di seconde maglie, ne vede (e ne indossa) di tutti colori (tranne il viola sinonimo di Fiorentina storica acerrima rivale). Ma a giustificare il blu con i bordi e le stelle gialle sulle spalle sono i colori dello stemma cittadino, dove però campeggia un toro, da sempre invece la mascotte dei nemici concittadini granata.
La mitica Pro Vercelli viene invitata, in Brasile, prima squadra italiana, nell’agosto 1914, per una tournée di amichevoli contro diversi team di San Paolo e Rio De Janeiro, riportando alla fine un identico numero di vittorie, sconfitte, pareggi, in una situazione all’epoca ritenuta calcisticamente superiore alla stessa Inghilterra. In stadi gremiti anche di emigrati italiani, le Bianche Casacche giocano indossando però strane magliette a righine sottili in bianco e nero, prestate dalla locale Clube Ypiranga: le tenute originarie forse dimenticate nella stiva del bastimento partito con loro da Genova.