Ieri a Seul è stata una giornata caratterizzata da proteste popolari e accuse nei confronti della presidente , cui vengono chieste a gran voce le dimissioni, benché il suo mandato scada solo nel 2018 e benché la presidente sia impegnata da tempo a proporre una riforma costituzionale proprio per aumentare la durata della carica presidenziale a due mandati, affinché – dice lei – si possa garantire una migliore «tenuta politica» dei governi. Migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro la presidente, che dal canto suo ha proceduto a licenziare dieci dei suoi collaboratori governativi, all’interno di un repulisti con il quale Park spera di preservare il proprio traballante mandato.

Va detto che se nei giorni scorsi la questione legata alla riforma costituzionale rappresentava la principale preoccupazione politica della presidente, al momento invece è l’ultimo dei pensieri di Park, che martedì ha addirittura chiesto scusa al popolo coreano in un intervento televisivo con tanto di inchino. Al centro di questo scandalo c’è una storia che affonda nel passato del paese, compreso quello della presidente, e che vede al centro la figura di Choi Soon-sil, persona esterna al governo, considerata una sorta di sciamana e definita dalla stampa locale la «Rasputin coreana».

SECONDO LE ACCUSE nei confronti di Park, Choi avrebbe esercitato nel tempo un’influenza incredibile sulla presidente arrivando addirittura a scriverle dei discorsi particolarmente importanti, come quello effettuato in Germania a proposito della possibile unificazione delle due Coree, influenzando le decisioni politiche da parte della presidenza e infine accumulando una straordinaria ricchezza grazie ai suoi legami con il governo. Già prima dell’elezione di Park, avvenuta nel dicembre del 2012 sancendo il dato storico di una donna, la prima, al vertice della società coreana, Choi era finita nell’occhio del ciclone perché accusata di avere accumulato ricchezze, specie immobiliari, nel quartiere della capitale Gangnam, grazie al potere acquisito in precedenza dal padre. Choi infatti è figlia di Choi Tae-min. E a questo punto il nuovo scandalo coreano, che pare muoversi all’interno di una trama cinematografica, se possibile, si complica ancora di più.

IL PADRE DELLA PRESIDENTE, Park Chung-hee, è stato il leader della Corea dal 1961 al 1979. Fu un dittatore, a capo di un governo terribile e durissimo. Uno dei suoi più stretti e fidati uomini fu proprio Choi Tae-min, un santone, già a capo della cosiddetta «Chiesa della Vita Eterna», nonché padre dell’attuale «Rasputin coreana», Choi Soon-sil .

Il suo profilo, ovviamente, è da film: ex poliziotto, poi monaco buddista, infine convertito al cattolicesimo, sei mogli e svariate accuse di corruzione. Uno sciamano, feroce consigliere del padre di Park e divenuto intimo con l’attuale presidente coreana, specie dopo la morte della madre di Park e moglie del dittatore avvenuta nel 1974. La giovane Park – nata nel 1952 – a quel punto divenne la «first lady» e la sua preparazione «morale» fu presa in consegna da Choi (poi morto nel 1994).

Una vicinanza che secondo un cable rilasciato da WikiLeaks sarebbe diventato qualcosa di più di un semplice rapporto maestro-discepola («Choi controlla il corpo e la mente di Park» si legge nel cable proveniente dall’ambasciata americana di Seul) lasciando campo aperto a ogni genere di diceria, compresa la presunta nascita di un figlio illegittimo. Nel mentre, Park, nubile e senza figli, creava la propria carriera politica contraddistinta da presunte doti di compromesso e riservatezza. Ma quelle voci sembravano non spegnersi, tanto meno dopo l’omicidio del padre di Park a opera dell’allora capo dei servizi segreti coreani che – di fronte alla corte in tribunale – addusse tra le cause del suo gesto anche l’incredibile influenza che Choi avrebbe esercitato nel tempo nei confronti dell’allora figlia del dittatore. Una relazione che Park avrebbe poi proseguito con la figli di Choi, il cui marito ha anche ricoperto un ruolo ufficiale nel governo coreano.

Questa storia – compresa l’amicizia tra la sciamana e la presidente – sembrava però essere stata archiviata dopo l’elezione di Park che, in un impeto di magnanimità, aveva chiesto scusa – già allora – al popolo coreano per le sofferenze patite durante il governo del padre, promettendo una migliore distribuzione della ricchezza del paese e un’attenzione ai temi dei diritti. Promesse non mantenute perché prima di questo scandalo, nel dicembre del 2015, altre grandi proteste avevano provato a opporsi ad alcuni provvedimenti del governo conservatore di Park in tema di lavoro, con l’accusa di favorire i conglomerati industriali a discapito dei lavoratori (venne perfino richiesto l’arresto del capo dei sindacati nazionali) e in tema di libri di scuola: Park venne accusata di voler riscrivere la storia per salvaguardare un’immagine soft della dittatura del padre.

LO SCANDALO È EMERSO nelle settimane scorse e ha assunto contorni meno melodrammatici e più «politici», perché al momento – per comprendere il rapporto tra la presidente Park e la «Rasputin» Choi – sta indagando la giustizia coreana, mentre la popolazione chiede a gran voce le dimissioni di Park. A caratterizzare le piazze coreane, secondo i media locali, sarebbero proprio i giovani, educati e cresciuti nell’idea di un grande rispetto delle istituzioni. Le ammissioni di Park nel suo discorso alla televisione, sulla effettiva cooperazione con Choi per alcuni discorsi pubblici, hanno trasformato le presunte dicerie in clamorose verità. La polizia coreana ha provveduto così a perquisire case e uffici, mentre Choi è andata in Germania da dove ha fatto sapere – tramite stampa – di essere a disposizione della giustizia nazionale. Nel frattempo è emerso che le due società no profit create da Choi avrebbero ottenuti innumerevoli vantaggi da quando Park è arrivata al gradino più alto della politica nazionale. Un intreccio di affari e amicizie e relazioni pseudo religiose che sta infiammando la scena politica coreana.

LA RISPOSTA DI PARK è stata veemente, perché ieri ha provveduto a licenziare dieci persone del suo staff nell’intento di fare pulizia, specie agli occhi dell’opinione pubblica. Dal canto suo la procura di Seul ha provveduto a sequestrare materiale da alcuni dei ministeri accusati di aver aiutato Choi Soon-sil e le sue attività no profit ad accumulare in poco tempo fondi fino a oltre 70 milioni di dollari.