L’offerta è davvero allettante: una settimana con formula all-inclusive in Messico, «tra coccole e spiagge bianchissime». La proposta del portale viaggiquasigratis.com promette un soggiorno di una settimana in hotel a 4 stelle nella riviera Maya, in una località dall’accattivante nome di Puerto Aventuras, porto avventure, per soli 990 euro.
Ci saranno, senz’altro, italiani disposti a partire da Malpensa o da Fiumicino, e andranno ad ingrossare le fila dei turisti italiani che potranno raccontare agli amici la loro vacanza in Messico, le spiagge incantevoli, la sicurezza all’interno della “comunità” in cui hanno trascorso la loro meritata settimana di ferie.
Puerto Aventuras sarebbe, spiega il sito internet dedicato, una comunità, anche se si tratta di un resort di lusso, uno dei tanti lungo la strada tra Cancun e Tulum, nello Stato del Quintana Roo.
Nel 2014 sono stati ben 170mila i nostri connazionali che hanno trascorso un periodo di vacanza in Messico. Molti di loro lo hanno fatto senz’altro all’interno di questi resort. Lontani dal Paese reale. Quello in cui, negli stessi giorni in cui scattava la promozione di Puerto Aventuras il giornalista Heriberto Paredes, dell’agenzia Subversiones, veniva minacciato di morte a Città del Messico. Quello in cui, sempre a Città del Messico, il mese scorso è stato ucciso il foto-giornalista Ruben Espinosa, insieme ad altre 4 donne (tra loro Nadia Vera, una riconosciuta attivista sociale).
Quello in cui il 26 settembre dello scorso anno sono scomparsi nel nulla 43 studenti di una Scuola normale rurale nello Stato del Guerrero, scatenando una mobilitazione solidale in tutto il Paese e anche fuori (in Italia è in corso la campagna MéxicoNosUrge, lanciata proprio dalle pagine del manifesto il mese scorso).
Ecco: cogliete pure l'”offerta speciale” e partite per conoscere un surrogato di Messico a Puerto Aventuras a meno di mille euro tutto compreso, ma prima passate in libreria e spendete 48 euro per tre libri (molto diversi tra loro) da poco pubblicati in italiano che vi aiuteranno a scoprire il Paese reale. Il primo offre una lettura storica. Lo firma Pino Cacucci, che per Feltrinelli ha scritto Quelli del San Patricio. Cacucci continua nella sua opera di ricostruzione della storia del Messico raccontandone frammenti, leggendone le vicende come riflesse nelle vite spesso misconosciute di attori non protagonisti.
La voce narrante è quella di un ex soldato irlandese, arrivato a combattere con l’esercito messicano dopo aver disertato da quello Usa, nelle guerre a cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento che portarono alla annessione del Tejas, della California e di altri Stati agli Stati uniti d’America: cambiando, per sempre, la storia dell’umanità (perché senza Tejas e New México, gli Usa non avrebbero avuto il petrolio, e tutto sarebbe andato diversamente).
Le fonti storiografiche che lo scrittore ha consultato aiutano a capire che certe «formule» adottate dagli Usa per esportare guerre, tanto in voga dal 2001, non sono affatto nuove, ma hanno radici ben salde nella Dottrina Monroe (e nell’Ottocento). E che chi governava allora il Messico, non s’è fatto problemi a svendere il Paese in cambio di poco, come non si fa problemi chi lo governa oggi. Per questo molti cittadini protestano, contro una riforma energetica che lede l’interesse della Nazione e stravolge la Costituzione.
Spiega Cacucci descrivendo John Riley, alla guida del battaglione San Patricio, che non si è messicani solo per nascita, ma «per scelta e per amore».
Ed è un amore smisurato per il Messico quello che si può leggere nel libro di Federico Mastrogiovanni, Ni vivos ni muertos. Una denuncia dei meccanismi di desaparicion forzada, la sparizione forzata che – è bene sottolinearlo- non sono un fenomeno chiuso a chiave in un museo che racconta gli anni Settanta, ma il presente del Messico (una delle forme di protesta in occasione delle elezioni di domenica 7 giugno è stato scrivere sulla scheda elettorale «Nos faltan 43», cioè «ci mancano i 43» futuri maestri rurali della scuola di Ayotzinapa, nello stato di Guerrero, scomparsi a fine settembre).
Mastrogiovanni, il cui libro pubblicato in spagnolo nel 2014 è stato tradotto da DeriveApprodi, con un’appendice proprio sulla vicenda “dei 43”, ricostruisce il fenomeno raccontando la storia di alcuni desaparecidos, e delle loro famiglie, che si struggono nell’attesa. Il senso è riassunto in una frase di Elena Poniatowska, scrittrice ed intellettuale messicana, autrice del libro La noche de Tlatelolco (sulla strage di studenti del 2 ottobre 1968, alla vigilia delle Olimpiadi): «La morte uccide la speranza, ma la desaparición è intollerabile perché anche se non uccide non ti permette di vivere».
È una forma di tortura, quella in corso in Messico dal 2006, “mascherata” e offerta ai media come guerra ai narcos. Una lettura semplice, e lineare, che permette di perdere di vista la realtà. Che, come spiega Mastrogiovanni, è una violenza che ha il compito di atterrire, colpendo chiunque e in modo apparentemente casuale.
Eppure, è (come quella di metà Ottocento) una guerra per le risorse. E risorse -terra e acqua, ma anche la straordinaria biodiversità della Selva Lacandona- sono l’agognato “bottino” che non permette di lasciare liberi di autodeterminarsi e autogovernarsi gli “indios” (come vengono chiamati in senso dispregiativo, ma in realtà si dovrebbe scrivere gli indigeni Tzotziles, Tzeltales, Tojolabales, Choles, discendenti dai Maya) del Chiapas.
A loro è dedicata una favola scritta da Marco Gastoni, e disegnata nella forma di graphic novel da Nicola Gobbi, Come il colore della terra. Si racconta la storia del sogno collettivo e indigeno zapatista, dall’insurrezione armata dell’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln), nel 1994, ad oggi.
Si raccontano la costruzione di una autonomia che ha portato salute ed educazione in comunità remote. Si racconta la presenza dell’esercito, la violenza cruda. I due autori scelgono di raccontate le vicende di una comunità indigena in resistenza.
La cosa più significativa – e un messaggio di speranza, per tutto il Messico – è seguire i protagonisti, José e Juana: i due sono fratelli, bambini nel 1994, adulti nel 2015. Vent’anni dopo, molti adulti in Chiapas sono persone cresciute “nell’autonomia”. Giovanni donne e uomini che hanno potuto studiare e curarsi, grazie al sacrificio di quanti si sollevarono in armi la notte di Capodanno del ’94.
Pino Cacucci firma un testo che accompagna il libro, e ha ragione quando scrive che «lottare per una ‘realidad’ fatta di solidarietà e comunanza, comprende anche il diritto di sognare».
Letto quest’ultimo testo, un po’ rinfrancati, potrete ancora scegliere di partire (per la vostra vacanza in Messico).
* In Messico molti fotoreporter e giornalisti stanno lavorando con lo pseudonimo Rubén Espinosa, per sottolineare come la sua uccisione non possa silenziare il suo lavoro e le sue idee.