Julián (Ricardo Darín) e Tomás (Javier Cámara) sono due amici di vecchia data che non si vedono da un po’ di tempo. Il primo è un attore argentino che si è trasferito a Madrid, il secondo invece è partito proprio dalla città dove lavora l’amico per andare a vivere in Canada. Come ogni coppia cinematografica che si rispetti, i due hanno caratteri e destini diversi. Tomás è razionale, generoso, disciplinato, sembra attenersi a delle regole scritte da altri. Julián possiede l’estro dell’artista, è coraggioso, istintivo, squattrinato, fuma marjuana, si scrive le regole da sé e, a differenza dell’amico che ha una famiglia, è separato con un figlio. Anzi due, perché c’è anche Truman, un bullmastiff che dà il titolo al film di Cesc Gay Truman. Un vero amico è per sempre, in sala da qualche tempo e riportato all’attenzione del pubblico dalla nona edizione del Festival del cinema spagnolo, che si terrà al Farnese di Roma da domani fino al 10 maggio.

Truman, nel film, ricopre un ruolo piuttosto importante. Il cane infatti è destinato a rimanere solo, dal momento che Julián ha deciso di non proseguire più le cure contro un cancro che dai polmoni si è diffuso in tutto il suo corpo. Dopo un anno non vuole passare ulteriori mesi in ospedale per lottare contro una malattia che presto o tardi lo porterà inesorabilmente alla morte. Così, uno dei problemi da risolvere è proprio a chi affidare Truman. La malattia e la prossimità alla morte sono il motivo per cui Tomás è tornato a Madrid per qualche giorno. E se inizialmente è sua ferma intenzione convincere Julián a proseguire con le cure, con lo scorrere delle ore solidarizza, senza manifestarlo esplicitamente, con le scelte dell’amico, quasi colto da una profonda e segreta ammirazione.

In questa elaborazione del lutto prima del lutto stesso, i due amici si recano anche ad Amsterdam per fare un’improvvisata a Nico, il figlio di Julián.
Curiosamente nella storia scritta e diretta dal regista catalano, noto per En la ciudad e Krámpack e che con Truman ha ricevuto numerosi premi tra cui cinque Goya , i personaggi sono sempre in un luogo altro rispetto a quello d’origine, anche la fidanzata di Nico, Sophie, è una parigina che ha scelto Amsterdam. E nei progetti di Nico si prospetta la possibilità di andare a vivere in Argentina.

In questa commedia con evidenti elementi drammatici che però non assumono mai toni esasperati, sembra che la vita sia regolata solo dalle relazioni e che i luoghi siano delle semplici location dove metterle in atto.
Forse, più di una riflessione sulla morte, che peraltro viene trattata con molto pudore, è proprio il cosmopolitismo dei personaggi il punto più interessante di un film equilibrato, costruito per piacere a un pubblico ampio, ben recitato da due attori icone delle loro rispettive cinematografie (Darín è argentino, Cámara è spagnolo). Si possono avere rimpianti per quello che si poteva fare, si può pensare che non sia giusto finire tra sofferenze morali e fisiche, si può prima o poi piangere perché di fronte alla consapevolezza della fine siamo come persi in balia di qualcosa di troppo più grande, ma in quel breve lasso di tempo che è la nostra vita la cosa che conta, almeno nel film di Cesc Gay, è il non essersi imposti dei confini, l’aver cercato gli altri in ogni luogo. Truman, per quanto possa suonare paradossale, è una storia di viaggi, di dimore non fisse, pure di notte in notte quando i due amici decidono se dormire a casa di Julián o nella stanza d’albergo di Tomás. Una libertà che oggi è concessa a pochi.