Colpo di scena nella (costosissima) saga per stabilire la proprietà intellettuale della tecnica Crispr/Cas9. Breve riassunto delle puntate precedenti. Jennifer Doudna (Università di Berkeley in California) e Emmanuelle Charpentier (che lavorava in Europa, e oggi è direttrice di un centro del Max Planck Institute in Germania) pubblicano sulla rivista Science nel 2012 un articolo che dimostra che l’enzima Cas9 di alcuni batteri è in grado di tagliare con molta precisione il Dna isolato. È la pietra miliare della rivoluzione Crispr che cambierà le sorti della ricerca biomedica.
Le ricercatrici lo sanno bene: il 25 maggio di quello stesso anno Doudna fa domanda per brevettare la scoperta negli Usa. Ma un altro gruppo, guidato da Feng Zhang al Broad Institute del Mit di Boston, sta lavorando già da qualche tempo sulla stessa tecnica. E nel 2013 pubblica un altro articolo chiave, sempre su Science, in cui dimostrano che la tecnica è applicabile alle cellule umane. Attraverso un trucco legale, benché la loro richiesta di brevetto sia stata fatta mesi dopo quella di Doudna (il 12 dicembre 2012), il Broad Institute riesce a ottenere nell’aprile 2014 il brevetto.
Il trucco consiste nel fatto che, fino al marzo del 2013, all’ufficio brevetti americano non vigeva la regola che il brevetto lo ottiene il primo che compila il modulo (oggi invece sì, e la stessa regola vale per l’ufficio brevetti europeo, l’Epo). In certi casi si poteva chiedere di aprire un processo di «interferenza» se era possibile dimostrare di essere stati i primi a «inventare».
Evidentemente Berkeley impugnò la decisione, e l’ufficio brevetti a gennaio di quest’anno ha deciso di accettare di aprire il processo di interferenza. Ora sarà una giuria di tre giudici esperti di brevetti che dovrà stabilire chi davvero è arrivato per primo, e la cosa potrebbe durare anni, anche perché gli interessi in gioco sono altissimi: gli stessi ricercatori hanno fondato diverse imprese per la commercializzazione di futuri farmaci basati sulla tecnica. Anche all’Epo la decisione di assegnare il brevetto al Broad Institute è stata impugnata a novembre. Il tutto è già costato la ragguardevole cifra di più di 15 milioni di dollari in spese legali.
L’ultima puntata della saga è uscita questa settimana. L’email che un ex studente di dottorato cinese di Zhang, Shuailiang Lin (oggi all’Università di San Francisco), aveva inviato a Doudna a febbraio chiedendole lavoro è stata resa pubblica. Il documento fa parte di una serie di prove inoltrate dall’Università di Berkeley in questi giorni all’Ufficio brevetti per perorare la sua causa. Nel messaggio, Lin sostiene che la versione del suo ex capo è falsa e che questa «tecnologia rivoluzionaria non dovrebbe essere brevettata in modo sbagliato». Secondo il giovane ricercatore, la versione del Broad Institute è «ridicola» ed è «ingiusta verso di me e verso la storia della scienza». «Cercherò di difendere la verità», conclude.
Si tratta di una bomba, perché Lin era coautore della ricerca di Zhang, nonché uno degli autori della richiesta del brevetto per conto del Broad Institute. La tesi di Lin è che Zhang saltò sulla scoperta dopo aver letto l’articolo di Doudna e Charpentier e che prima tutti i tentativi del laboratorio di lavorare sulla tecnica erano miseramente falliti. E aggiunge di poterlo dimostrare con email, appunti di laboratorio, e risultati. Lin ha lavorato nel laboratorio di Zhang solo nove mesi, e secondo i legali del Broad Institute con un ruolo secondario, ma proprio nel periodo cruciale in cui l’istituto sostiene che sarebbe stata perfezionata la tecnica.