«Con Storia di Sima volevo raccontare una storia d’amore. Una di quelle che rovesciano i canoni tradizionali del romanzo di genere». Bijan Zarmandili esplicita così le intenzioni narrative della sua ultima opera (Nottetempo, pp. 164, euro 13), che presenterà a Roma il 10 dicembre, nell’ambito del festival dedicato alla piccola e media editoria Più Libri. Più Liberi.

Definire romance questo lavoro sarebbe probabilmente inappropriato: l’opera ha più le caratteristiche di un romanzo di formazione, che non si limita alla descrizione delle tappe evolutive del personaggio. Sima è un’iraniana nata e cresciuta nella city di Londra; circondata dai crucci borghesi dei suoi genitori, espatriati in Inghilterra per cercare fortuna. L’anaffettività del padre – mista all’ossessione per il consenso da parte dell’ospite inglese – e la depressione della madre la spingono sempre più lontana dalla vita statica e inquietante che si è costruita nell’esilio londinese.

Sima cerca rifugio in Italia, tra le braccia di Stefano – giovane e brillante architetto conosciuto all’università – e di suo figlio Dario che, con l’arrivo dell’adolescenza si trasforma in un’ossessione proibita: un ribaltamento del dramma di Sofocle, Edipo Re. È una messa in scena teatrale in cui sradicamento identitario e desiderio incestuoso originano dal raffreddamento del «senso dell’io» di Sima: forestiera in casa propria.

Tra le pagine del romanzo si percepisce che Sima vive in un perenne stato di insoddisfazione e disadattamento. ..

Sima era una «straniera, un’aliena nell’anima», come diceva di lei suo marito Stefano. Io dico che è una donna «senza patria». E con questa espressione non intendo solo in senso geografico. Penso a una patria dell’anima: le è mancato il principio vitale. Non è riuscita a trovare le sue radici a Londra. E neppure a Roma. Così prova a cercare una nuova appartenenza tra l’umanità invisibile, i senzatetto e i clochards, come se fosse lo svolgimento del destino.

Sima non ha nulla a che fare con i giovani iraniani che espatriano in cerca di un futuro migliore. È una figlia della «seconda generazione»?

Proprio così: è nata a Londra da madre e padre iraniani. Non ha mai conosciuto l’Iran, se non attraverso i tormentosi rapporti con i genitori. Incarna perfettamente il prototipo della seconda generazione, figlia di una borghesia cosmopolita iraniana che ha lasciato il paese dopo la rivoluzione islamica. La tappa italiana, più che ricerca di cambiamento, è una fuga dalla vita famigliare asfittica e problematica. Sima vive una profonda crisi d’identità, che spesso accomuna i giovani della seconda generazione di immigrati. Poco importa la loro condizione economica: il padre è un facoltoso finanziere nella city londinese.

Sentirsi stranieri sempre e comunque è una condizione diffusa. Ancora di più in questo momento storico. C’è – seppur in minima parte – una matrice autobiografica?

Nulla di quello che c’è in Storia di Sima appartiene al mio vissuto personale. Ciò non vuol dire che la storia perda di realismo: con modalità, forme e intensità differenti, la perdita della «patria dell’anima» è un fenomeno frequente. La causa è semplice: gli spostamenti di milioni di persone dal sud al nord del mondo provocano mutamenti culturali, psicologici e antropologici. Gli effetti di tali modificazioni non sono immediatamente percepibili. Sima rappresenta il riassunto di queste trasformazioni.

A proposito di migrazioni: a un anno dall’accordo sul nucleare, il destino di molti iraniani non sembra essere mutato né di profila all’orizzonte la sperata rinascita. Cosa ne pensa?

Vista la complessità degli accordi, probabilmente un anno non è sufficiente per la verifica dei risultati. Le tappe intermedie, prima della vera rinascita, erano moltissime, andavano negoziati decine di protocolli. Spero che l’Iran e i suoi interlocutori occidentali l’abbiano fatto. La prospettiva, dopo l’elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti, sarà certamente più complicata, ma bisogna vedere fin dove gli americani sono tenuti a rispettare i patti precedentemente siglati. Non dobbiamo poi dimenticare che anche l’Unione europea è partner dell’Iran e non dovrà necessariamente mantenere la stessa linea di Washington. Renzi ha già firmato accordi miliardari con Teheran e Pier Carlo Padoan verrà in visita nella capitale.

Ma gli Usa restano una grande incognita: il tycoon potrebbe far saltare il tavolo?

Con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca non è in ballo solo l’intesa sul nucleare, ma il ruolo di Teheran sullo scacchiere mediorientale: l’Iran rischia di perdere il riconoscimento dello status di «potenza regionale». Fin qui, le dichiarazioni di Trump hanno fatto pensare a una limitazione dell’influenza iraniana per ostacolarne il peso economico, a vantaggio di Israele. A differenza dell’amministrazione Obama, quella di Trump tornerà a sostenere prevalentemente esigenze e posizioni israeliane, senza contare che il Medioriente è radicalmente mutato rispetto a 15 anni fa. Ma ogni previsione in politica estera è vincolata alle condizioni obiettive e alla capacità di gestione della diplomazia.

Il futuro dell’Iran dipende anche dalle sue prossime presidenziali. Molti danno per vincente Rohani, ma l’ipotesi di un duello tra il presidente uscente e Ahmadinejad si fa sempre più concreta. Cosa dobbiamo aspettarci?

Manco da tanti anni dall’Iran e non vorrei azzardare giudizi insensati. Ma è lecito immaginare questo: con Trump mancherà all’Iran un interlocutore come Obama, e certamente i rivali di Rohani proveranno a sfruttare la situazione per sottolineare le difficoltà della sua politica di apertura verso l’Occidente. Non vanno sottovalutate le attese della popolazione – in maggioranza a favore della fine dell’embargo – e, in ultima analisi, il ruolo della Guida: l’ayatollah Khamenei.

Nonostante Rohani si sia sempre dichiarato un moderato, in Iran la censura continua a mietere vittime: basti pensare all’arresto del regista Keywan Karimi….

Purtroppo non basta un moderato come Rohani a trascinare l’Iran verso un modello di democrazia e rispetto dei diritti di stampo occidentale. Non ci è riuscito neppure Khatami, che era un riformista. L’esecutivo di Rohani deve costantemente fare i conti con il potere giudiziario, controllato in prevalenza dagli integralisti, con gli apparati di sicurezza e con l’ayatollah Khamenei. La secolarizzazione, come tutti i meccanismi che riguardano le società, è un processo lento, che non è in grado di soddisfare le attese di giovani e donne. Di una società civile avanzata come quella iraniana.

Nelle pagine di «Storia di Sima» si parla soltanto una volta di fede. Ha a che fare con l’ideologia del personaggio?

I temi che riguardano la religione non sono indispensabili per descrivere un personaggio come Sima. Spero che ad emergere siano altri aspetti: quello psicologico e introspettivo. Quello delle difficoltà e dei disagi. La religione è un fattore marginale, se non inesistente. E malgrado i suoi aspetti tragici, qui il fanatismo è un fenomeno minoritario nel contesto complessivo delle religioni.

 

Dalle biografie
alla «finzione»

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Bijan Zarmandili (nato a Teheran il 15 dicembre del 1941), dal 1960 vive e lavora a Roma dove ha anche frequentato l’università, studiando architettura e scienze politiche. Per vent’anni è stato tra i dirigenti della sinistra iraniana in esilio in opposizione al regime dello Shah Pahlavi. Nel 1980 ha iniziato a collaborare come giornalista esperto di politica mediorientale per il Gruppo L’Espresso Repubblica. Tra le sue pubblicazioni in Italia ci sono le biografie di Mossadegh e Khomeini, il saggio «Documenti di un dirottamento», sul caso dell’Achille Lauro (Eri, 1988) e diversi romanzi, «La grande casa di Monirrieh» (2004) e «L’estate crudele» (2007) per Feltrinelli;« I demoni del deserto» (2011) e «Viene a trovarmi Simone SIgnoret» (2013) pubblicato da Nottetempo