Con il piacevole stile di scrittura di un diario e non di una seriosa autobiografia, Lidia Menapace ci racconta i fatti salienti dei suoi oltre novant’anni: Canta il merlo sul frumento. Il romanzo della mia vita (Manni editore, pp. 140, euro 14).

Si parte da Cles, località di vacanza molto amata, in cui c’è una casa di proprietà di cui liberarsi a malincuore per via dei costi di manutenzione. Poi arrivano i ricordi dell’infanzia, con attenzione al primo camminare aiutata dalla madre e alla gelosia per la più giovane sorella. Lidia si sofferma anche sul primo parlare con la convinzione che a quell’atto così importante dovessero corrispondere delle reazioni (una foto da bimba la ritrae in posa comiziante).

Si passa con rapidità agli anni del ginnasio e del liceo vissuti a Novara. Arriva anche la prima cotta, di cui Lidia si libera in fretta perché ha poche attrattive oltre alla bellezza del ragazzo in questione. L’autrice si descrive come una studentessa brillante ma particolarmente indisciplinata. Poi all’università arriva il primo vero innamoramento e poi ancora il conseguente fidanzamento ufficiale con coinvolgimento delle famiglie, come avveniva in quegli anni. Infine avanza la convinzione che il matrimonio può essere una gabbia e va quindi respinto come prospettiva immediata. A ispirarle voglia di indipendenza è la mamma che dice alle figlie: sarebbe un errore dipendere economicamente solo dal coniuge, meglio non esserlo.

Negli studi Lidia va bene. Non paga le tasse per l’ottima media e si mantiene con le ripetizioni che impartisce. Nasce nel frattempo il fratello Aldo. Non mancano i ritratti di famiglia, con il ricordo della vita dei nonni. I primi dubbi religiosi per un credere formale e di gesti ripetitivi arrivano al liceo, quando scopre che la gente invece di «tantum ergo sacramentum» recita in chiesa un più semplice «canta il merlo sul frumento» (ecco spiegato il titolo del libro).

L’impegno politico iniziale è l’antifascismo. Decisive nella decisione sono le leggi razziali che colpiscono alcune compagne di scuola e l’aria che si respira in famiglia non omologata al regime fascista. Intanto c’è la scelta dell’insegnamento. Non manca molto all’amore quello vero, al matrimonio con un medico con cui dividerà la vita oltre alla scelta di andare a vivere a Bolzano: «Io gli sono rimasta sempre molto fedele; libera, autonoma, fedele e innamorata».

Un bel capitoletto è dedicato al «volto oscuro della Resistenza», al tema della violenza e delle possibili vendette in una fase di passaggio come la caduta di un regime con l’invito a separare «l’oro dal fango», perché episodi raccapriccianti avvennero indubbiamente. Con la riorganizzazione dei partiti, Lidia sceglie la Dc (Bolzano è anche terra di Alcide De Gasperi). Laureata alla Cattolica di Milano, più religiosa che in gioventù, quello gli appare il partito dove contribuire a costruire la democrazia. Ma nel 1948 è già in dissenso, resta militante delle organizzazioni cattoliche ma non del partito. Il ’68 fa il resto. La rottura diventa radicale, accompagnata da una scelta verso il marxismo critico. Deve abbandonare anche l’insegnamento alla Cattolica. Fin dal 1969 diventa collaboratrice e poi dirigente de «il manifesto» rivista, gruppo politico e quotidiano. Lidia definisce quel periodo «una avventura», una bella avventura di cui molti di noi ricordano passione e dedizione. Peccato che poi il rapporto si sia chiuso repentinamente per alcune incomprensioni di cui Lidia offre nel libro la sua versione di parte.

Lei non rientrerà nel Pci per un breve periodo, come Lucio Magri e Luciana Castellina. Proseguirà nel suo impegno pacifista e femminista. Approderà nelle file di Rifondazione comunista, dove tuttora milita, con cui fu eletta senatrice sedendo a Palazzo Madama accanto alla sua amica e «allieva» Rina Gagliardi, nostra indimenticabile compagna. Non mancherà in anni recenti pure l’impegno tra i partigiani dell’Anpi.
Una vita lunga e appassionata, quella di Lidia Menapace. Che definisce il suo tempo attuale quello della «pausa» per riflettere e ripensare. Certo, viaggia di meno (lei era una instancabile viaggiatrice). Ma la curiosità e la tensione intellettuale sono quelle di sempre. Lidia per molti di noi è un esempio di tenacia e libertà.