«I bambini capitalisti quando nascono sono dei bambini uguali a tutti gli altri. Non sono ancora dei bambini capitalisti. E non lo sono nemmeno nei primissimi anni della loro vita. Poi a un certo punto succede qualcosa nella loro testa e invece di continuare ad essere bambini uguali a tutti gli altri diventano dei bambini capitalisti».
L’incipit del fortunatissimo libro, uscito per le edizioni Clichy, di Gérard Thomas – Il comunismo spiegato ai bambini capitalisti (e a tutti quelli che lo vogliono conoscere) – già autore di culto in Francia, annuncia subito al lettore la domanda principale del racconto: perché, ad un certo punto delle nostre vite di bambini, accade qualcosa che ci trasforma in capitalisti, segnandoci per sempre.
Il racconto è il terzo lavoro di questo eccentrico scrittore, dopo Come si diventa presidente (2002) e L’anarchia è una cosa semplice (2007); da anni vive nelle Isole Marchesi, dove si dedica alla passione per l’apicultura, accomunata dal desiderio di rendere accessibili alcuni concetti politici, spesso molto complessi.
Non si tratta ovviamente di una summa generalizzante o superficiale, né di una stringata sintesi di fatti e cronache. Il sottotitolo, «e a tutti quelli che lo vogliono conoscere», spiega che non è solo lettura per adolescenti, ma investigazione storica adatta anche ad un pubblico adulto. Aspettarsi una lezione fin troppo semplice, od una esposizione fiabesca dell’idea di comunismo, sarebbe quindi un errore madornale, vista la perizia con cui si riporta la storia delle idee socialiste e le vicende correlate.
Il racconto, un vero e proprio viaggio, parte dall’incontro con gli uomini primitivi, poi via per le città di Ur e Nazareth, fino a Parigi, Londra, la Cina, e spiega l’illuminismo, la Rivoluzione francese e russa, l’incredibile storia della Comune, il Sessantotto ecc.
Alcuni personaggi e fatti sono raccontati con più intensità rispetto ad altri, perché possono insegnare ancora molto a proposito di quanto accade nelle nostre vite. Quando si parla dell’«esercito di riserva» dei disoccupati, per esempio, Thomas, analizzando le idee di Marx, assolve perfettamente il suo compito di divulgatore: «Per risolvere questo problema dei capitalisti (l’accumulo di plusvalore) diventa essenziale la presenza di un gran numero di disoccupati, che alimentano la concorrenza fra gli operai garantendo un basso livello dei salari e una insita debolezza della classe operaia, che avendo accanto a sé persone talmente povere e disperate da accettare qualsiasi lavoro e qualsiasi salario, sono costrette a moderare le loro richieste e le loro rivendicazioni per non perdere il loro lavoro».

Una storia non negata

Apprezzato in patria, Thomas ha anche ricevuto delle critiche. L’accusa più pesante è stata voler omettere gli orrori e gli eccessi che il socialismo reale ha prodotto in alcuni casi della sua storia. Tesi curiosa, perché l’autore non rinuncia mai a biasimare i crimini commessi da Pol Pot in Cambogia, o l’accentramento burocratico e autoritario avvenuto in differenti periodi della storia sovietica. Ciò che non gli si perdona, presumibilmente, è l’aver tracciato con estrema correttezza e onestà la linea divisoria tra responsabilità individuali e teoria politica, fra aspirazione alla giustizia e sua realizzazione terrena. È in questa distinzione che si coglie la forza persuasiva del libro, e si arriva alla risposta del quesito iniziale.
Comunismo è certamente storia e racconto di quella stessa storia, ma soprattutto la tensione costante di una umanità, fin dai primordi, intenta a cancellare la prevaricazione dell’uomo sull’uomo, assente quando si è bambini, e poi schiacciante quanto si entra nella società dei consumi e del denaro.
Il comunismo, per Thomas, così ci confida nelle pagine finali del testo, oltre a essere un evento epocale, è soprattutto l’esigenza eterna di affermare che «tutti gli esseri umani sono uguali, tutti gli esseri umani hanno gli stessi diritti, nessun essere umano può sfruttare altri essere umani, tutti gli esseri umani devono avere le stesse possibilità. E soprattutto, tutti gli esseri umani hanno il diritto di essere felici». Quella felicità, per l’appunto, che ci accompagna da bambini, e che un giorno ci abbandona, lasciando un persistente sentimento di melanconia.