All’assemblea di Roma che riunisce il nuovo movimento referendario circolano già i moduli per i due quesiti abrogativi dell’Italicum – capilista bloccati e premio di maggioranza -, sono pronti ma non saranno portati nelle cancellerie dei tribunali prima dell’inizio di aprile. La «primavera per la democrazia», slogan che comprendere tutte le iniziative referendarie contro le principali «riforme» renziane, è così articolata da richiedere uno sforzo di coordinamento, ora che è giunta a un passo dalla partenza.

Tre mesi dal giorno in cui i moduli vengono «bollati» è il tempo che la legge del 1970 concede ai promotori per raccogliere le 500mila firme dei cittadini necessarie a chiedere i referendum abrogativi. L’idea è quella di partire nella prima settimana di aprile, possibilmente il 4, al più tardi il 9, per finire nei primi giorni di luglio. Ben nove referendum «sociali» dovrebbero aggiungersi ai due contro l’Italicum. Alcuni sono sicuri. Quattro quesiti contro la legge 107 sulla scuola: contro il preside manager, il bonus scuola, l’obbligo dell’alternanza scuola-lavoro e il potere discrezionale del preside di premiare economicamente i docenti; sono stati messi a punto dal movimento per la scuola pubblica e già depositati in Cassazione (giovedì). Depositato anche un referendum per l’opzione «trivelle zero», studiato da un gruppo di attivisti per lo più proveniente dalle regioni adriatiche e riuniti nella campagna «stop devastazioni» con la consulenza dell’ex giudice costituzionale Paolo Maddalena, agirebbe sulla legge del 1991 attuativa del piano energetico nazionale. Più indietro gli altri. Un referendum contro gli inceneritori e più precisamente l’articolo del decreto sblocca Italia con il quale nel 2014 i termovalorizzatori sono stati definiti «insediamenti strategici» rendendone facile la costruzione e il funzionamento. E infine tre possibili referendum contro il jobs act che dovrebbero essere annunciati lunedì dalla Cgil al termine della consultazione con i lavoratori. Non è detto che tutte le raccolte di firme riusciranno a partire contemporaneamente, né che tutti i promotori si impegneranno ugualmente su tutti i quesiti. Per esempio tra i promotori dei referendum sulla scuola non tutte le organizzazioni sono disposte a impegnarsi per i referendum contro l’Italicum. La Cgil non darà un’indicazione nazionale in favore di tutti i quesiti, ma lascerà liberi dirigenti e iscritti sul territorio di aderire alle varie raccolte di firme. Un po’ come sta accadendo, su un altro piano, per il referendum contro le trivellazioni entro le 12 miglia, quello del 17 aprile. A proposito del quale non è mancata qualche discussione tra i promotori dei nuovi referendum e il comitato No Triv, la cui rappresentante ha chiesto di non far partire la raccolta di firme proprio nei giorni in cui più intenso dovrebbe essere l’impegno finale per portare gli elettori alle urne del 17 aprile.

Non è stata ascoltata, meglio partire subito per evitare il rischio di dover raccogliere le ultime firme in estate ormai inoltrata. E poi i banchetti possono essere anche un veicolo di informazione e mobilitazione, tant’è che dalla seconda metà di aprile si aggiungerà anche la raccolta delle firme per la richiesta di referendum sulla riforma costituzionale. Questo referendum «confermativo», il solo nel quale si chiederà di votare No e per il quale non è previsto quorum, è l’unico che si terrà certamente entro la fine di quest’anno (gli altri, c’è da augurarselo, nel 2017) perché sarà richiesto dai parlamentari sia di maggioranza che (più ragionevolmente) di opposizione non appena il parlamento approverà la riforma. Auspicabile, ma assai difficile come ha spiegato il presidente del comitato del No Alessandro Pace, il frazionamento dei quesiti. Bisognerà invece votare sul complesso della riforma costituzionale che riscrive più di un terzo della Costituzione: prendere o lasciare. «Non voglio dire che questa campagna referendaria è la nostra ultima occasione – ha detto Stefano Rodotà – ma di certo è la prima che ci si presenta per rivitalizzare la democrazia e tentare una ricomposizione sociale». E il segretario della Fiom Maurizio Landini ha sostenuto che «stiamo già pagando una restrizione degli spazi democratici, non si tratta di un rischio ma di una condizione attuale».