carlomagno
Tra le varie monarchie romano-barbariche, una era destinata a interessare particolarmente la Chiesa e a segnare profondamente la storia europea: quella franca. Fra V e VI secolo, in circostanze che la leggenda vuole miracolose, re e popolo franco si erano convertiti in massa al cattolicesimo abbandonando il culto pagano, e ciò in un momento in cui le altre monarchie romano-barbariche conoscevano una fase di adesione al cristianesimo attraverso la confessione ariana. I Franchi divennero allora i «figli prediletti della Chiesa». Nel corso del VI secolo il loro regno si era allargato su gran parte dell’attuale Francia, nella quale si potevano distinguere le regioni di Austrasia (nord-est), Neustria, Borgogna e Aquitania. I sovrani merovingi regnavano su una popolazione nella quale un ceto di proprietari terrieri ben armati, d’origine germanica reggevano le sorti di una popolazione d’origine gallo-romana che, specie nel Meridione del paese, continuava a vivere in città relativamente prospere. Tuttavia, la loro storia (delineata da Bernhard Jussen, I franchi, il Mulino, pp. 162, euro 14) difficilmente ci sarebbe parsa così di spicco se non fosse culminata nella monarchia e nell’impero di Carlo Magno. Sul personaggio negli ultimi anni (ma non solo, ovviamente) sono apparse diverse biografie; in Italia bisogna almeno ricordare quelle di Alessandro Barbero e di Franco Cardini, oltre a varie traduzioni.

Se ne aggiunge adesso una nuova: Stefan Weinfurter, Carlo Magno. Il barbaro santo, il Mulino, pp. 342, euro 25). Ritroviamo nel testo tutto quello che è lecito attendersi: un po’ di biografia tradizionale, le campagne militari, le riforme culturali, le basi teoriche, concettuali e morali del suo potere; e poi naturalmente il dibattito sul suo ruolo nella storia d’Europa: a partire dall’incoronazione imperiale. Elevato al soglio pontificio nel 795, Papa Leone III aveva chiesto protezione a Carlo contro l’aristocrazia romana che minacciava le sue prerogative; ma, siccome i Romani persistevano nel loro atteggiamento d’inimicizia nei suoi confronti, nel 799 si recò in Francia per chiedere un più energico sostegno. Carlo scese a Roma, in apparenza come mediatore; tuttavia, nella notte di Natale dell’800 assunse un equivoco titolo imperiale. Il papa lo incoronò, mentre la folla raccolta in San Pietro lo acclamava (l’acclamazione era un elemento giuridico importante nell’incoronazione imperiale fin dai tempi di Roma).

Il gesto del Natale 800 resta un enigma. Papa Leone aveva forse inteso ricompensare così chi lo aveva sostenuto; ma, con questo gesto, egli intendeva anche dichiararsi libero dalla tutela dell’imperatore bizantino? O addirittura rivendicare il suo diritto a disporre della corona imperiale, quindi a incoronare, ma anche – in caso di necessità – a deporre? Dal suo canto, l’aristocrazia romana rivendicava, con le acclamazioni, l’antico diritto del popolo romano a disporre dell’impero. Carlo, secondo alcune fonti, fu colto di sorpresa dalla situazione e mostrò sulle prime di non gradirla: certo, essa lo poneva in una situazione di obiettivo confronto con Bisanzio; d’altronde gli forniva un’autorità almeno morale sul suo popolo e sull’Occidente quale nessun re germanico aveva avuto fino ad allora.

Apparso in lingua tedesca nel 2013, viene ora tradotto con merito in italiano; operazione opportuna, vista la scarsa possibilità per i più di attingere all’originale. Bisogna dire che l’Italia resta uno dei pochissimi paesi al mondo nei quali si traduce la saggistica con una certa intensità; a giudicare dal pur ricco apparato di note del testo, per esempio, colpisce il fatto che Weinfurter abbia consultato molta storiografia tedesca, parecchia in inglese, pochissima in francese, e nulla in italiano. Forse il segno di un peso specifico non troppo elevato della nostra lingua e della nostra storiografia (però gli Atti dei Convegni spoletini sull’Alto Medioevo, almeno, sarebbero stati indispensabili), ma certo anche un segno preoccupante della scarsa volontà delle storiografie nazionali di guardare a un panorama più ampio. Il che, in tempi in cui si parla tanto di globalizzazione, lascia molto perplessi.