Si chiama «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze» il disegno di legge Cirinnà (Atto del Senato n. 2081). In discussione è la versione del provvedimento, il Cirinnà bis, con le modifiche approvate negli ultimi mesi. Con unione civile si indica l’istituto, diverso dal matrimonio, comportante il riconoscimento giuridico, organico e complessivo della coppia di fatto, finalizzato a stabilirne diritti e doveri.

Il primo Capo del ddl riguarda le unioni civili formate da persone dello stesso sesso; il secondo, i patti di convivenza, anche da persone di sesso diverso.

Nel primo Capo si introduce nell’ordinamento giuridico italiano l’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso sesso quale «specifica formazione sociale» (dicitura scelta per accontentare i cattolici che temevano l’equiparazione con il matrimonio) tutelata ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione. Si potrà costituire un’unione civile con una dichiarazione dinanzi all’Ufficiale di Stato Civile, in presenza di due testimoni. I soggetti dell’unione potranno scegliere il regime patrimoniale e la loro residenza; potranno anche decidere di assumere un cognome comune. Non possono contrarre l’unione civile persone già sposate o che hanno già contratto un’unione civile; persone a cui è stata riconosciuta un’infermità mentale; oppure persone che sono tra loro parenti.

Con l’unione civile tra persone dello stesso sesso, «le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Dall’unione civile deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti sono tenuti a contribuire ai bisogni comuni».

L’articolo 3 estende alle unioni civili molti diritti del matrimonio per quanto riguarda congedi parentali, contratti collettivi di lavoro, graduatorie all’asilo nido se si hanno figli. Estesi anche i diritti previdenziali, quindi la pensione di reversibilità. E con l’articolo 4 vengono estese alle coppie che hanno sottoscritto un’unione civile le norme in materia di successione previste per gli etero uniti in matrimonio (eredità, suddivisione delle quote di una casa…).

Per sciogliere l’unione civile si deve ricorrere al divorzio. E in questo caso si seguono le norme della legge attuale per quanto riguarda assegno di mantenimento, affido dei figli, diritto di visita, assegnazione della casa.

L’articolo 5 è quello che riguarda la stepchild adoption, cioè l’estensione della responsabilità genitoriale sul figlio del partner. Viene consentita l’adozione «non legittimante» dei figli del o della partner. Il ddl esclude invece l’applicabilità dell’istituto dell’adozione legittimante: per le coppie dello stesso sesso unite civilmente non sarà possibile, quindi, adottare bambini che non siano già figli di uno dei o delle componenti della coppia. Con l’adozione non legittimante, fra l’altro, chi adotta non acquista diritti successori nei confronti dell’adottato, ma assume tutti i doveri del genitore nei riguardi del figlio.

Nel secondo Capo del ddl si parla del riconoscimento della convivenza di fatto sia tra coppie di omosessuali sia tra coppie etero. La convivenza di fatto viene riconosciuta alla coppie di maggiorenni che vivono insieme e che non hanno contratto matrimonio o unione civile. I conviventi hanno gli stessi diritti dei coniugi in caso di malattia, di carcere o di morte di uno dei due coniugi. Ciascun convivente può designare l’altro quale suo rappresentante in caso di malattia o di morte. Nel caso di morte di uno dei due conviventi che ha anche la proprietà della casa di convivenza comune, il coniuge superstite ha il diritto di stare nella casa. E inoltre in caso di morte il coniuge superstite ha il diritto di succedere all’altro coniuge nel contratto d’affitto. I conviventi possono stipulare un contratto di convivenza per regolare le questioni patrimoniali tra di loro. Il contratto di convivenza può essere sciolto per accordo delle parti, per recesso unilaterale, matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra uno dei conviventi. In caso di scioglimento del contratto di convivenza il giudice può riconoscere a uno dei due conviventi il diritto agli alimenti per un periodo determinato in proporzione alla durata della convivenza.