Non potendo dichiararsi un renziano deluso, Ivan Scalfarotto per intanto si è fatto Radicale. Assodato che il tempo degli annunci può essere dilatato ma non all’infinito, il sottosegretario alle Riforme ha inaugurato la stagione degli scioperi della fame come strumento di governo.

Da lunedì scorso, ha annunciato, «prendo solo due cappuccini al giorno, alla radicale», per attrarre l’attenzione pubblica «sul drammatico ritardo dell’Italia in tema di diritti civili». Smetterà, ha giurato, quando «avrò una data certa di approvazione» del disegno di legge sulle unioni civili che in Senato, dove è sepolto, rischia di appassire come i Pacs, i Dico, i Cus e via inventando pur di non pronunciare il tabù del «matrimonio omosessuale».

«Non ce la facevo più a far finta di niente», si sfoga Scalfarotto. E chiama alla lotta, l’uomo di governo, perché «senza una mobilitazione da fuori» ogni sforzo «rischia di essere vano» contro gli alleati di Ncd, primo tra tutti «Giovanardi (che) mena colpi tutti i giorni con la scimitarra».

Eppure il piccolo alleato non sembrava creare problemi al segretario del Pd quando a metà marzo annunciava: «La legge sulle unioni civili va fatta entro l’estate, prima delle regionali, non faremo un’altra campagna elettorale parlandone al futuro». E poi, ancora, un paio di mesi dopo, il premier Renzi affermava sicuro che la «proposta di legge della senatrice Cirinnà sarà votata tra luglio e settembre. Credo che possa funzionare e avere i voti in Parlamento».

Certo, Giovanardi e Alfano sono ossi duri in questioni di diritti civili e umani, ma se il sottosegretario Scalfarotto si dimettesse, come gli ha suggerito il capogruppo di Sel alla Camera, Arturo Scotto, mostrerebbe la forza di un’altra lotta non violenta, copiata da nessuno: lo sciopero del potere.