La ragazza del mondo, opera prima di Marco Danieli è esemplare di una costante diffusa nel cinema italiano. Se da una parte come opera d’esordio si presenta con una certa solidità, una sicurezza di regia e un bel lavoro con gli attori e con la composizione di casting, a cominciare dalla protagonista, Sara Sarraiocco – lasciando intuire un talento – dall’altra finisce per ingabbiare le sue potenzialità nel «vizio» di scrittura tipico del nostro cinema.

Non era facile visto il tema scivoloso che intreccia dinamiche familiari a un credo religioso, l’appartenenza dei protagonisti ai Testimoni di Geova, dominante. É in questo rito, rivendicazione decisa di un’identità, che i genitori hanno cresciuto Giulia (Serraiocco) e la sorella minore, educate a una separazione netta dall’esterno: ci sono loro e c’è il resto del mondo insidioso, tentatore, da tenere lontano.

Giulia pratica sin da ragazzina, porta a porta a «vendere» conforto, aiuto con una «fede» che i citofoni sbattuti giú bruscamente, le ironie, le parole pesanti non riescono a scalfire. Al mattino lavora nell’impresa del padre, amministrazione, era la piú brillante a scuola, l’orgoglio dell’insegnante di matematica, cosí brava da vincere il concorso delle scuole. Ma i genitori e la chiesa hanno deciso per lei, come sempre. Il tempo libero dal lavoro lo passa a cercare proseliti. Poi ci sono le riunioni con la chiesa, la preghiera – a capo un impassible Pippo Delbono – le amiche con cui va in giro a diffondere fede, i ragazzi, tutto sempre lì dentro, il «fuori» è proibito, si viene puniti se lo si lascia avvicinare.

Cosa potrebbe far vacillare un universo così solidamente recintato? In una ragazzina null’altro che l’amore. Che piomba nella sua vita con la faccia sprezzante di Libero (Michele Riondino), cinico, aggressivo, appena uscito di galera per spaccio, la madre (Alessandra Vanzi) sarebbe pronta a tutto, anche a entrare nei Testimoni per non vederlo finire di nuovo nei guai. È l’opposto di Giulia ma come si sa, regola d’oro di qualsiasi narrazione (e forse della vita) gli opposti si attraggono.

Danieli, anche sceneggiatore insieme a Antonio Manca, riesce a dare corpo all’inquietudine della ragazza con delicatezza, non ingabbia le emozioni, i passaggi di una progressiva consapevolezza del desiderio di vivere una vita indipendente, di rompere quel cordone del controllo che l’ ha guidata fino a quel momento.

Giulia via di casa, viene cacciata dalla chiesa, affronta una violenza terribile, il ricatto sentimentale, affettivo, la famiglia che si dispera, la sorella che si ammala di dolore perché si sente in colpa, è lei che l’ha «denunciata» dicendo ai genitori di averla vista baciare uno di «fuori».
In un certo modo possiamo pensare a Stop the Pounding Heart di Minervini, la ragazza mormone e il ragazzo cow boy, due universi incompatibili nella scia di Romeo e Giulietta. Ma Minervini tiene il suo racconto sempre in questa relazione, qualsiasi cosa accada, conflitti, famiglie, contesto riportano allo spunto di origine.

Qui invece appena il film esce «nel mondo» si perde accumulando una campionatura di luoghi comuni narrativi, l’ansia del genere, qualche ammiccamento a Caligari, insomma quell’esempio di sceneggiatura che deve chiudere, far quadrare ogni dettaglio e ogni figura tra i limiti piú costanti del cinema italiano (e della fiction che ne ha invaso gli spazi). Giovane e meno giovane, in questo senso appunto «esemplare». Peccato. Ma forse sarebbe ora di uscire da queste convenzioni. Nel mondo.