Enrico Rava è un musicista che nel cielo del jazz formatosi nello Stivale brilla come luce di prima grandezza. Ebbe i natali a Trieste, nel ’39 e qualche anno dopo, quando nella città, finita la guerra, l’amministrazione era dei c.d. alleati (i nemici di un po’ prima) si trovò in condizione di affrancarsi almeno un poco da quel che dominava nel mondo musicale italiano. C’era l’Usis probabilmente emanazione della CIA, dove trovavi i V disk, i dischi della Vittoria, nei quali erano registrate alcune delle voci migliori dei ’40. C’era Luttazzi e forse c’era qualcosa d’altro ancora, dico fino alla metà degli anni ’50, o più o meno, quando gli americani se n’andarono.

A un paio di loro che flirtavano su una barchetta al largo di Sistiana, forse devo la vita o magari una gamba, ché correndo sulle acque arrivai a farmi imbarcare pallido e ansante. Era l’epoca di Martians Come Back, Stan Kenton, avevo da poco scoperto Billie Holiday. Non ho incontrato allora Enrico Rava. Sta di fatto che egli attorno al 1960 trova lo sbuzzo per farsi notare per individualità nelle acque revival del jazz del belpaese che sta cercando da un paio di lustri un suo spazio nel territorio musicale italiano che è in piena ebollizione anche se non molti se se rendono conto.

Rava è da tenere tra i musicisti autodidatti. È un trombettista che emerge nel quadro nazionale praticamente all’improvviso; dà segno di amare e di saper suonare gli intrecci etero fonici del passato, ma in un fiat entra in rapporto con l’Olimpo del jazz allora a venire e diventa un caposcuola non avendo avuto praticamente altra scuola che se stesso.

Una sua biografia filmata è passata al Biografilm Festival, s’intitola Enrico Rava, note necessarie, è firmata da Monica Affatato. Naviga tra riprese recenti, repertori recuperati da occasioni diverse e un po’ di narrazione che ha a supporto spezzoni e/o fotografie. Ci sono immagini ormai commoventi, con Melis, Lacy, Carla Bley, Aldo Romano, Petrucciani, oltre che con i torinesi del Jazz studio degli anni Sessanta. Naturalmente si sarebbe più curiosi di sapere se abbia suonato con altri che andavano per la maggiore nel panorama italiano: Schiano, Gaslini, Tommasi, ma queste, dato che eventualmente chiedono di rispondere al come mai, son forse cose da tesi di laurea piuttosto che da spettacolo.

Il filmato sostiene con evidenza che Rava è un musicista soprattutto melodico. La cosa è vera, a mio parere, ma non vuol dire granché. Giunto sulle scene dopo di lui, Fresu mi pare lo sia stato con applicazione ancora maggiore. Ma se questo fosse stato il suo mondo «naturale», non avrebbe in discografia The Zoo, di contro, se questo testo discografico iniziale fosse caratterizzante univocamente non avremmo I’m Getting Sentimental di 15 anni dopo. Rava è un piacevole punto interrogativo, anche nella sua relazione con l’opera, nella quale sente, credo, il verdiano e pucciniano eminentemente come melodia. Però è entrato nel free tra i primi e ha un’evidente individualità creativa. Il film restituisce qualcosa.