Il paesaggio è quello imponente del deserto ma appena l’immagine si allarga lungo la linea tremolante dell’orizzonte le luci della città appaiono molto vicine. Gli uomini corrono sulla sabbia ma i cavalli degli esotismi di Lawrence d’Arabia hanno lasciato il passo a elaborati 4X4. Si provocano, bruciano il terreno con il getto degli scappamenti, danno l’assalto alle dune.
Il loro vanto e lo strumento prezioso di questa sfida sono i falconi che gli uomini lanciano nel cielo all’inseguimento di una preda, alla conquista di un torneo antico divenuto presente. La sera nelle lussuose tende alla fine di ogni gara gli uomini vestiti di bianco mangiano, giocano con la play station e da lontano guidano le aste per comprarsi nuovi falconi rari e preziosi.

Yuri Ancarani, artista e filmmaker milanese ha girato The Challenge (nel concorso locarnese dei Cineasti del presente) in Qatar, per tre anni ha seguito e osservato un gruppo di giovani e ricchi arabi che nel «tempo libero» declinano la tradizione al presente.
Il loro fine settimana tra amici guarda a un passato forse leggendario, sicuramente impossibile da ripetere, una pratica e un rituale del deserto come luogo da opporre all’ordine urbano.
Sogni, fantasie, miti e figure dell’immaginario che li trasforma in bikers da «Easy Riders» con l’Harley Davidson placcata d’oro che invece di correre verso una selvaggia libertà si inginocchiano verso la Mecca per la preghiera. Figure di un paesaggio addomesticato come i loro falconi controllati da un drone, la cui caccia è fittizia visto che non ci sono più animali da cacciare.

E questo rapporto tra una tradizione anch’essa patrimonio della mitologia e il tempo presente appare la sfida del regista in un film che nelle sue immagini – senza dialoghi né commenti off – racchiude la potenza narrativa. Il regista c’è, sentiamo il suo sguardo ma al tempo stesso distilla la sua autorialità nella distanza.
Sono magnifici gli squarci del deserto, attraversati dal respiro della bellezza senza per questo sprigionare nessun esotismo: la loro cifra appare piuttosto quella di un universo artificiale, come la sfida che porta quegli uomini lì, un gioco, una messinscena nella quale ciascuno recita il suo ruolo: uomini e falconi, luoghi e mezzi. È forse questo l’aspetto più forte di The Challenge che è anche il primo lungometraggio di Yuri Ancarani, spesso in passato nel cartellone della Mostra di Venezia – dove si è rivelato con Il capo – artista che muove le sue immagini tra schermi in sala, musei e gallerie, mutandone il segno e la forma anche secondo lo spazio.

I gesti degli uomini si ripetono, le corse, i voli predatori degli uccelli, il loro ritorno nelle mani dei falconieri. Il sole è violento, la luce netta. Il deserto che Ancarani restituisce nel suo dispositivo è fatto di tecnologia e di illusioni, riflesso in filigrana delle vecchie cartografie di antichi viaggiatori, di un’alterità che nasce dallo straniamento, dalla riproduzione di un immaginario che scivola nel tempo dell’osservazione. In questa tensione continua anche il nostro sguardo si sposta: partecipe di una «finzione» e della sua intimità. Sembra quasi di essere lì, di condividere questa strana condizione di un altrove riconoscibile e insieme lontano, l’essenza del nostro contemporaneo.