Nei giorni precedenti tanto i democratici quanto i repubblicani hanno affermato paure circa la possibilità di potenziali frodi nel conteggio dei voti finali.

Se è vero, come farebbero supporre alcuni sondaggi, che in alcuni stati in bilico la differenza tra i due candidati potrà essere minima, entrambi gli schieramenti hanno messo le mani avanti, chiedendo il massimo dell’efficienza e regolarità nel conteggio.

Donald Trump, come al solito, ha fatto un passo in più lanciando una sorta di controllo popolare fuori dai seggi; un’iniziativa che si è ben presto tinta di orrore con gruppi di «miliziani» pro Trump, tra cui anche gruppi neonazisti, pronti a presidiare i seggi e controllare il corretto svolgimento del voto. Un’accortezza che, più di un controllo democratico, è apparsa come un’intimidazione. A questo proposito si è espresso l’ex attorney general, Alberto Gonzalez, un repubblicano che ha lavorato nell’amministrazione di George W. Bush: «Non posso annoverarmi tra i fan di questo tipo di iniziative private, in tutta onestà. Vorrei che tutto dipendesse solo e soltanto da funzionari statali e locali capaci di assicurare che tutto si svolga all’interno di un quadro chiaro e pulito».

Il pericolo, naturalmente, «è che se si disponga di una presenza molto pesante che può di fatto intimidire alcune persone in base alla loro età e la loro educazione». Nei giorni scorsi proprio il Guardian che un agente repubblicano, Mike Romano, noto per «intimidazioni» attuate nel corso delle elezioni del 2008, sarebbe il coordinatore del «programma di monitoraggio» della campagna per contro proprio di «The Donald».

Secondo il quotidiano britannico il team della campagna di Trump «ha rifiutato di fornire dettagli sulle dimensioni e la portata del programma e rimane poco chiaro quante persone verranno esaminate».