Manuel Valls è candidato alla presidenza della Repubblica. Prima, però, deve passare per le primarie del Partito socialista, del 22 e 29 gennaio. Oggi, il primo ministro dà le dimissioni. Con un discorso da Evry, comune della banlieue dove è stato sindaco per una decina di anni, ieri alle 18.30 ha annunciato la sua decisione: «È arrivato il momento di andare oltre». Nella dichiarazione di candidatura non ha però fatto riferimento al «bilancio» del suo governo. Si è limitato a rendere omaggio a Hollande, a cui ha espresso il suo «affetto». Ma soprattutto ha reso omaggio alla «Francia» e anche alla «sinistra» – «la sinistra è la mia storia». Valls, considerato divisivo, si è presentato ieri come un paladino della «riconciliazione» a sinistra. Obiettivo non facile, visto che solo qualche mese fa aveva parlato di due sinistre «inconciliabili».

Ancora prima che dichiarasse le sue intenzioni, la sindaca di Lille, Martine Aubry, ha espresso dubbi: «La sinistra deve essere unita attorno ai propri valori» e per quello che riguarda un eventuale appoggio a Valls, «non è evidente, vedremo». Valls correrà alle primarie, contro la sinistra socialista, che ha già quattro candidati: Arnaud Montebourg, Benoît Hamon, Marie-Noëlle Lienemann, Gérard Filoche. Ieri, Lienemann ha fatto appello a Montebourg e Hamon per mettersi d’accordo su un progetto comune (e un solo candidato), perché c’è «un appuntamento con la storia», visto il rischio di un’esclusione del candidato socialista al primo turno delle presidenziali. Ma gli ego sovradimensionati e la sfida delle candidature difficilmente permetterà un seguito alla proposta di Lienemann.

«Voglio dare tutto alla Francia che mi ha dato tutto», ha detto Valls (che è nato spagnolo). Ha parlato di «identità», di «lingua» francese, in un paese minato dalle questioni identitarie. Ha insistito sulla «storia», ha invitato i «progressisti» a unirsi a lui (il riferimento è a Emmanuel Macron, ex ministro dell’Economia, già in corsa, «né a destra né a sinistra», che gli sta tagliando l’erba sotto i piedi). Ha parlato della mondializzazione e ha promesso di limitarne «gli effetti nefasti». Ha accennato molto superficialmente all’Europa (solo in riferimento alla sua origine politica, Valls è nato nell’area di Michel Rocard). Ha sottolineato il «valore lavoro», la «laicità», che ha sempre difeso, la «fraternità» riferendosi al «modello sociale» da preservare, la «libertà», anche per dire che «ci sono risorse per l’ottimismo». Insomma, un discorso classico di candidatura.

Valls ha attenuato le asperità della sua posizione, ha cercato in un certo senso di prendere il posto al centro che era di Hollande, visto che il presidente ha rinunciato alla candidatura. Ha fatto attenzione a rendere omaggio a Hollande, anche per far tacere le accuse di essere un «Bruto» che ha pugnalato il padre per sgombrare il campo nella corsa all’Eliseo (posizione che contende a Macron, altro «Bruto» che ha ucciso il padre).

Ma Valls non è Hollande, non rappresenta un punto di convergenza nel Ps, è alla destra del partito. Ha ammesso ieri di aver avuto a volte «parole dure», di aver suscitato «incomprensione». Valls è il primo ministro che ha disprezzato l’ala sinistra del Ps, che ha fatto troppo ricorso all’articolo 49.3 (ossia la fiducia) per far passare le leggi (la Loi Travail soprattutto), che si è dichiarato ostile alle 35 ore, che voleva cancellare la patrimoniale o che ha sostenuto i sindaci di destra contro il «burkini» e altre scelte non-comunitarie, oltre ad aver proposto la privazione della nazionalità per i condannati per terrorismo bi-nazionali.

Valls era già stato candidato alle primarie del Ps nel 2011 (quelle vinte da Hollande). Allora aveva raccolto solo il 5,6% dei voti. Farà meglio questa volta, molto probabilmente. Ma non ha nessuna certezza di vincere. E non è detto che in caso di vittoria di Montebourg (o viceversa) il Ps ritrovi un’unità tra sinistre «inconciliabili» (alle primarie rifiutano di partecipare Macron e Jean-Luc Mélenchon, che saranno candidati al primo turno delle presidenziali). In altri termini, la strada è lunga e piena di ostacoli.

Stando ai sondaggi, per quello che valgono, Valls, se vincesse le primarie, non riuscirebbe ad arrivare al ballottaggio. Ma forse pensa già al 2022, alle prossime presidenziali, se questa volta riuscirà ad avere una sconfitta onorevole al primo turno di aprile.