Nel giorno in cui da una costola di Syriza nasce la terza forza parlamentare della Grecia, Yanis Varoufakis se ne va a tessere la sua tela politica in Francia, alla tradizionale festa estiva  del Partito socialista a  Frangy-en-Bresse.  A invitarlo è la  sinistra anti-austerità capeggiata dall’ex ministro dell’Economia Arnauld Montebourg, che vuole fare la guerra all’ala liberal del premier Manuel Valls. Una dichiarazione d’intenti, forse, che parla a Valls perché Tsipras intenda, ma forse pure alla neonata Unione popolare di Panagiotis Lafazanis, più  apertamente antieuropeista.

La domanda del giorno è infatti con chi staranno Varoufakis e un’altra protagonista dei mesi di governo Syriza: la presidente del Parlamento Zoe Konstantopoulou. Nella lista dei 25 deputati finiti nel nuovo gruppo messo in piedi dalla Piattaforma di sinistra spiccano infatti le loro assenze. Vuol dire che rimarranno dentro Syriza, pur su posizioni contrarie ad Alexis Tsipras? Non proprio. Konstantopoulou è bloccata dal suo ruolo istituzionale, ma difficilmente rimarrà al seguito del premier, con il quale è entrata più volte in rotta di collisione.

Diverso il discorso per Varoufakis: l’ex ministro delle Finanze non è mai stato vicino alle posizioni  degli anti-europeisti e non ha fatto mistero di voler lavorare alla costruzione di una sinistra europea anti-austerità (e non nazionale), come dimostra la partecipazione al meeting francese. Anche se alla fine le posizioni potrebbero anche convergere, visto quanto Varoufakis ha detto ieri in  un’intervista pubblicata ieri dal Nouvel Observateur (ma probabilmente rilasciata quando  il governo Tsipras era ancora in sella). «Abbiamo tradito la grande maggioranza del popolo greco. Non potrei far parte di un governo e di un partito  che chiedono un mandato popolare per applicare l’accordo del 13 luglio», ha detto con la consueta chiarezza. Per quel che riguarda il suo impegno politico, invece, l’economista greco ha spiegato: «Rimarrò attivo politicamente perché le questioni del debito e dell’austerità devono essere pensate al livello europeo. Se non c’è un movimento europeo per democratizzare la zona euro, nessun popolo europeo vedrà giorni migliori. Ci rimane da combattere una battaglia fondamentale».

Una prospettiva  diversa da quella enunciata da Lafazanis. L’ex ministro dell’Energia, annunciando ieri la scissione da Syriza  e la nascita di Unità popolare,  ha annunciato esplicitamente che «per sbarazzarci del Memorandum siamo pronti anche ad uscire dall’euro in maniera controllata» e che per loro «non c’è l’inferno fuori dall’Eurozona». Poi ha fatto appello al popolo del no («non sarà orfano in queste elezioni») e alle altre forze politiche anti-Memorandum, dai comunisti del Kke alla piccola formazione della sinistra antagonista Antarsya, per entrare a far parte del  fronte anti-Memorandum in costruzione. Un appello già respinto al mittente   dai primi e che con ogni probabilità sarà raccolto dai secondi.

Ma il vero fatto negativo  per le rinascenti sinistre europee  è l’esplosione di Syriza. Oltre ai 25 deputati finiti in Unità popolare e ai dubbi su Konstantopoulou e Varoufakis, altri quattro parlamentari  ieri si sono dichiarati indipendenti (tra questi l’ex viceministro Nadia Valavani), mentre l’emorragia si diffonde ora agli organi dirigenti del partito e inevitabilmente si allargherà alla base: già ieri si sono dimessi tre esponenti del Comitato centrale in quota Piattaforma di sinistra. I mal di pancia, anche in quella che era la maggioranza di Syriza, sono molti: si  imputa a Tsipras il fatto di non aver voluto incontrare gli organi dirigenti di Syriza dopo l’accordo di luglio e di aver deciso in autonomia, con un ristretto staff, la strada da seguire.  E la decisione di andare alle urne azzera pure il previsto congresso, che però difficilmente sarebbe riuscito a portare indietro le lancette degli orologi.

Del resto, era stato lo stesso premier alla fine di luglio a dichiarare esaurito  il progetto della Coalizione della sinistra radicale, «pluralista e polifonico», in un’intervista a radio Kokkino, nella quale aveva sostenuto che  «Syriza non è fatta per governare» e anticipando così la sua evoluzione in forza di governo. Comunque vada a finire, il risultato che ci consegna questo showdown agostano è la probabile fine del “modello Syriza” come l’abbiamo conosciuto finora, un esempio vincente di ricostruzione di una sinistra dal basso (le lotte sociali, le esperienze di mutuo soccorso, il radicamento territoriale) e che riesce a farsi forza delle diversità. Un esperimento costruito negli anni della crisi  e guardato con interesse nel resto d’Europa, ma che si è sciolto come neve al sole in pochi mesi di governo. Debutta un’altra stagione, e siamo solo agli inizi.