Alcuni deputati dell’opposizione hanno celebrato il loro primo «Natale in aula». Gli occupanti resteranno al Sejm, la camera bassa del parlamento polacco almeno fino al prossimo 11 gennaio, data in cui è prevista la prima sessione di lavoro del 2017. Le scorte alimentari si stanno esaurendo. E ora si ritrovano senza cibo a sufficienza e vestiti di ricambio. Per fortuna, i deputati possono entrare ed uscire dai locali in via Wiejska. Michal Stasinski della formazione liberale Nowoczesna ha riempito la sua ventiquattrore con i «pierogi» (un tipo di ravioli polacchi ndr) ai funghi e crauti preparati dalla mamma, prima di tornare sui banchi del parlamento.

È la seconda volta in pochi mesi che il governo del partito della destra populista Diritto e giustizia (PiS), fondato dai fratelli Kaczynski, affronta la piazza. La dirigenza del PiS ha dichiarato che farà marcia indietro su un provvedimento che mira a limitare l’accesso dei giornalisti ai locali del Sejm, la camera bassa del parlamento polacco. A ottobre scorso migliaia di donne erano scese in strada per protestare contro la messa al bando totale dell’aborto prima del dietrofront del governo. Poi è arrivato il turno degli insegnanti, contro una riforma scolastica che potrebbe costare il posto di lavoro ad almeno 35.000 insegnanti con la liquidazione della scuola secondaria di primo grado.

A dieci giorni dall’inizio dell’ultima ondata di proteste, le transenne volute dalle forze dell’ordine intorno al Sejm in via Wiejska sono state smantellate. Ma siamo ancora lontani dalla normalità. Alcuni militanti del Comitato per la Difesa della Democrazia (Kod) continuano a bloccare l’accesso al parlamento dall’esterno. Alcuni cittadini in segno di solidarietà hanno organizzato una raccolta di cibo, coperte e carbone per rendere la fatica più sopportabile a quelli che non vogliono rientrare a casa per le feste. Con il 2017 le manifestazioni spontanee di dissenso pubblico rischiano di diventare una rarità. Il governo si prepara ad approvare in via definitiva una legge che garantirebbe la precedenza per le autorizzazioni agli organizzatori di manifestazioni cicliche: ergo, le celebrazioni promosse dalle istituzioni e dalla Chiesa in primis.

L’indignazione della classe politica locale nasce dal fatto che la maggioranza ha deciso comunque di approvare il budget 2016 per alzata di mano fuori dall’aula principale del Sejm: il tutto mentre la nuova legge sui media infervorava l’opposizione sui banchi del parlamento.

La polarizzazione della società polacca ha raggiunto un livello allarmante. Le formazioni di sinistra non riescono ad andare al potere da più di un decennio, dopo la débâcle dell’Alleanza della Sinistra Democratica (Sld) alle parlamentari del 2005. Ecco allora che lo strappo potrebbe essere ricucito dal centro. L’Unione dei democratici europei (Ued), una neonata formazione centrista ha organizzato un summit con Lech Walesa nel suo ufficio di Danzica. «Nel giro di un anno sono riusciti a distruggere quasi la metà del nostro lavoro e delle nostre conquiste.

Non posso fare a meno di intervenire. Qui non c’è nessun tornaconto personale. Ho già occupato tutte le cariche di stato e papa non lo diventerò mai», ha tuonato il leggendario segretario di Solidarnosc, accusato di essere un informatore durante il comunismo dall’Istituto polacco della memoria nazionale (Ipn) vicino al think-thank reazionario del PiS. Anche Bruxelles è tornata alla carica sul rispetto dello stato di diritto in Polonia. «L’esperienza dell’ultimo anno non mi porta ad essere ottimista», ha commentato Frans Timmermans vicepresidente della Commissione europea. Varsavia che avrà tempo fino alla fine di febbraio per smontare le preoccupazioni di Bruxelles.

Difficile tuttavia auspicare che l’Unione europea possa ricorrere all’«opzione atomica», ovvero all’ Articolo 7 del Trattato di Lisbona che porterebbe a un’eventuale sospensione dei diritti di voto della Polonia. Ma con un alleato come Budapest, Kaczynski potrà continuare a sfoggiare il proprio autismo politico anche nel 2017. Il numero uno del PiS sa benissimo di poter contare sul veto del premier ungherese Viktor Orban nel caso in cui il Consiglio europeo dovesse propendere per questa soluzione.