Finalmente «103 deputati di diversi gruppi hanno firmato un appello di solidarietà ai giornalisti Gianluigi Nuzzi e Emiliano Fittipaldi», dal 24 novembre scorso sotto processo in Vaticano, accusati di aver divulgato documenti riservati della Santa sede con i loro libri-inchiesta sugli affari della Chiesa.

L’appello arriva poche ore dopo l’inaspettata presa di posizione della presidente della Fondazione Bambino Gesù, Mariella Enoc, che prendendo in considerazione per la prima volta l’ipotesi di veridicità delle accuse formulate da Fittipaldi, cronista dell’Espresso, secondo il quale tramite il manager Giuseppe Profiti, ex numero uno del Bambino Gesù, furono dati 200 mila euro per i lavori di ristrutturazione del famoso attico del card. Tarcisio Bertone, ha annunciato: «Se effettivamente le carte dicono che qualcosa è stato tolto, chiederemo tutti i danni, non solo quelli economici ma anche i danni morali che l’ospedale ha subito».

Incredibilmente, c’è voluta l’inizitiva di un ex radicale liberista come Daniele Capezzone per rompere il muro di assordante silenzio con cui l’intera classe politica italiana ha rafforzato la cinta muraria leonina coprendo il processo – molto discusso e che vìola molti diritti degli imputati – che vi si svolge all’interno.

Alla sbarra davanti ai giudici ecclesiastici per la prima volta nella storia vaticana – nell’era del gesuita Bergoglio – cinque imputati, e tra loro due giornalisti italiani accusati non di aver trafugato o rubato documenti scottanti (l’accusa è rivolta agli altri tre: mons. Balda, Francesca Chaouqui e Nicola Maio) ma di aver sollecitato ed esercitato «pressioni, soprattutto su Vallejo Balda, per ottenere documenti e notizie riservati, che poi in parte hanno utilizzato per la redazione di due libri usciti in Italia nel novembre 2015».

Secondo le regole dello Stato estero, inoltre, gli avvocati devono essere iscritti al Foro vaticano, dunque gli imputati non posso avvalersi che dei difensori assegnati loro d’ufficio. Ai microfoni di Radio Radicale, Gianluigi Nuzzi ha raccontato di aver conosciuto il suo avvocato incontrandolo solo per pochi minuti prima dell’udienza e, ha aggiunto, «a differenza di qualsiasi processo in un Paese democratico non ho avuto la possibilità di fare copie degli atti del processo perché posso solo consultarli nello studio del mio legale».

Un po’ troppo per rimanere ancora in silenzio: «Siamo parlamentari di diverse appartenenze, di differenti sensibilità politiche e culturali, credenti o laici. Abbiamo pieno rispetto, com’è doveroso, per le istituzioni della Città del Vaticano», è la cauta premessa contenuta nell’appello firmato dai 103 deputati. «Ma abbiamo – continua il testo – anche rispetto per i principi fondamentali di libertà di opinione, di stampa, di manifestazione del pensiero, riconosciuti nella Costituzione italiana, e cardine di ogni ordinamento liberale e democratico. Esprimiamo dunque vicinanza e solidarietà a Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, indipendentemente dalla nostra condivisione o no dei loro scritti, delle loro opinioni, del loro lavoro giornalistico. Siamo preoccupati per il processo al quale sono sottoposti. E chiediamo che siano loro riconosciuti pieni diritti di difesa. Lo ribadiamo: al di là delle opinioni di ciascuno sul contenuto dei loro libri, è in causa un principio fondamentale di libertà, che deve stare a cuore a tutti, credenti o laici».

I primi a firmare (ma l’appello continuerà a girare nei prossimi giorni) sono stati: Capezzone, Corsaro e Palese di Cor; Abrignani di Ala; Ascani, Baruffi, Giachetti e Realacci del Pd; Benedetti, Cozzolino, Lombardi, Ruocco e Toninelli del M5S; D’Attorre di SI-Sel; Bergamini, Biancofiore, Carfagna, Lainati, Ravetto e Sisto di FI; Locatelli del Psi; Pisicchio del gruppo Misto e Rampelli di FdI.

E purtroppo l’unico a dire che «se fossi Fittipaldi e Nuzzi non andrei al processo e non riconoscerei quel Tribunale visto che si tratta di cittadini italiani sottomessi a leggi italiane e non a quelle della Città del Vaticano», è stato l’Ncd Fabrizio Cicchitto.