Di notte, approfittando del silenzio e dell’illuminazione fantasma. La tendopoli quasi non si vede. Scompare la luce. C’è una strada in terra battuta, i marciapiedi sberciati, nessun cartello. Gli agguati si sono consumati in questo fazzoletto di terra dove vivono gli “invisibili” più noti d’Italia, eppur ignoti al Viminale che continua a far finta di nulla.

Non c’è elettricità in questo lembo incastrato tra i capannoni vuoti dell’area industriale a ridosso del porto di Gioia Tauro. Niente luce e niente acqua calda. Solo degrado. E così può riprendere bellamente il tiro al bersaglio. Che sei anni fa provocò i «tumulti di Rosarno».

I vigliacchi non hanno volto, si muovono nell’ombra, si accaniscono sugli indifesi. Dall’inizio di novembre sono già tre i casi emersi in base alle testimonianze che gli operatori della clinica mobile di Medici per i diritti umani (Medu) e don Roberto Meduri, il prete militante di contrada Bosco a Rosarno, hanno raccolto direttamente dalle vittime. Si tratta di tre lavoratori – due del Burkina Faso e uno del Mali – aggrediti da sconosciuti mentre rientravano nella tendopoli di San Ferdinando. La dinamica è la stessa: al calar della sera i malviventi in macchina, sporgendosi dal finestrino, hanno ferito con una spranga i ragazzi che stavano rientrando a piedi o in bicicletta. Due delle vittime, condotte al Pronto soccorso, hanno riportato un trauma alla testa. Uno di questi ha già sporto denuncia. In entrambi i casi il medico del team di Medu ha potuto rilevare direttamente le gravi lesioni subite dai giovani.

Condizioni di vita indegne

Gli attivisti di Sos Rosarno esprimono rabbia e fanno appello alla società civile e alle istituzioni affinché venga garantita la sicurezza ai braccianti, contrastato il lavoro nero dilagante, posta fine alle indegne condizioni di vita in cui sono costretti a vivere i lavoratori che trovano impiego nelle campagne della Piana per 25 euro al giorno. In effetti, nonostante le promesse del governo e del ministro Martina di sconfiggere il caporalato e rilanciare il settore agrumicolo, la totale assenza di misure concrete implementate nella Piana sta determinando anche quest’anno disastrose condizioni di vita e di lavoro per i migranti.

Dai primi dati raccolti dalla clinica mobile di Medu – che da un mese è tornata ad operare nel territorio – emerge un quadro a tinte fosche. La maggior parte dei pazienti (92%) è dotata di regolare permesso di soggiorno. Di questi, più della metà (57%) è titolare di un permesso per protezione internazionale o per motivi umanitari e il 29% è in fase di ricorso contro il diniego della Commissione per il diritto d’asilo. Ma la regolarità del soggiorno si scontra con una totale irregolarità delle posizioni lavorative. L’86% dei lavoratori agricoli, infatti, non ha un contratto di lavoro. Un dato costante negli anni, a dimostrazione che nulla si è fatto per sconfiggere il lavoro nero. La maggior parte dei lavoratori, impiegati per circa 8 ore al giorno, è retribuita a giornata con una paga che oscilla in media tra i 25 euro per la raccolta degli agrumi e i 30 euro per kiwi e olive. Oltre a non fruire di alcuna copertura assicurativa né del versamento dei contributi, i braccianti ricevono quindi il 50% in meno di quanto stabilito dai contratti provinciali del lavoro.

Tra i pochi lavoratori che hanno un contratto (11%), la metà non sa se riceverà una busta paga né se gli saranno versate le giornate contributive corrispondenti al lavoro svolto. Nella totale mancanza di operatività dei centri per l’impiego che dovrebbero garantire l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro, i braccianti riescono a trovare lavoro nei campi attraverso la “piazza” (52%) – cioè l’attesa dei datori di lavoro nelle piazze e nei principali snodi stradali della Piana – o il ricorso al caporale (24%). In tal caso, il lavoratore dovrà farsi carico del costo del trasporto che varia dai 3 ai 5 euro.

Per quanto concerne le condizioni di vita, si riscontrano anche quest’anno situazioni di estremo degrado. Il 45% dei braccianti incontrati da Medu dorme su un materasso a terra, il 18% direttamente sul pavimento in strutture prive di acqua, luce e servizi igienici.

L’unico presidio di accoglienza

Sono già più di 300 i migranti che trovano rifugio nella fabbrica sita nella zona industriale di San Ferdinando. Stessa sorte per le centinaia di lavoratori che vivono nei casolari abbandonati nelle campagne nei pressi di Rizziconi, Taurianova e Rosarno: edifici fatiscenti, privi di elettricità (nei casi più fortunati alcuni migranti dispongono di generatori a benzina), di servizi igienici e acqua. Per quanto attiene alle strutture di accoglienza istituzionali, sono già più di mille i migranti che trovano alloggio nella tendopoli di San Ferdinando, a fronte dei 450 posti disponibili. In assenza di un piano di accoglienza chiaro e strutturato sono sorte in questi mesi decine di baracche di plastica e cartone. Nel campo è carente l’erogazione di energia elettrica. Stessa sorte per i servizi igienici. Unico presidio di accoglienza pare essere il progetto promosso dalla Caritas di Drosi che, ogni anno e senza alcuna risorsa riesce a fornire un alloggio dignitoso a prezzi calmierati a più di 100 lavoratori stranieri facendosi da garante con i proprietari delle abitazioni sfitte.

I raccoglitori della Piana sono, così, un popolo di fantasmi. Il Viminale non se ne cura. Il Governo ogni tanto viene a far passerella. Ma una volta abbassate le luci della ribalta, il degrado permane e le tende son sempre qui. In attesa del prossimo raid. Finché non ci scapperà il morto.