Oswaldo Vera è l’attuale ministro venezuelano del Poder popular para el Proceso social del Trabajo y la Seguridad social. In questi giorni lo abbiamo visto occupare la locale fabbrica statunitense Kimberly-Clark, insieme ai lavoratori: quasi 1.000 operai che sarebbero rimasti a casa dopo la chiusura dell’impresa.

Durante il nostro recente viaggio, ci ha ricevuto nel suo ufficio di Plaza Caracas. Ex sindacalista che ha appoggiato la guerriglia durante gli anni della IV Repubblica, chavista della prima ora, Vera ha partecipato alla stesura dell’avanzata Ley organica del Trabajo, approvata da Hugo Chavez al termine di un lungo processo di discussione assembleare nel paese.

«Sono stato un dirigente operaio per tutta la vita – dice – Come sindacalista sono venuto qui tante volte per protestare, e anche da deputato ho occupato l’Ispettorato del lavoro in qualche manifestazione di categoria».

E quali sono i suoi compiti in questa fase delicata per il paese?
Sono arrivato qui il 5 gennaio, in una squadra di governo nominata dal presidente Maduro dopo un serio bilancio sulle cause e gli errori che hanno portato alla sconfitta elettorale del 6 dicembre, quando le destre hanno ottenuto la maggioranza in parlamento. Lavoriamo su alcune linee fondamentali: difesa del salario e delle conquiste realizzate. Aumento della partecipazione dei lavoratori al nuovo modello produttivo, alla gestione e alla pianificazione e per dare una nuova spinta alle imprese recuperate. Incremento della formazione politica e professionale in una forte interazione con il Ministero di Scienze e tecnologie. Dobbiamo favorire l’innovazione industriale, ma a beneficio di tutti. Non per licenziare le persone, ma per liberare tempo di vita per la cultura, l’impegno politico, il divertimento. Oggi la settimana lavorativa è di 5 giorni e per un massimo di 40 ore, in molti casi meno. Da questo ministero, devo garantire l’applicazione della nostra legge del lavoro – una carta di presentazione a livello mondial -, contro inadempienze e burocrazie, e contro gli attacchi delle destre. La prima cosa che hanno tentato di abolire è stata proprio la legge del lavoro, ma la reazione dei lavoratori glielo ha impedito. Dobbiamo organizzare il movimento operaio giovanile, rispondendo alle nuove esigenze e adattando per questo la struttura sindacale, ampia e unitaria, che siamo riusciti a costruire. Occorre un ricambio di quadri dirigenti, competenti e innovativi. L’Ince, l’Istituto nazionale di capacitazione e di educazione socialista dei lavoratori, è uno degli strumenti fondamentali per la formazione politica e professionale dei giovani. Il ministero deve favorire questo percorso, lavorare per l’eliminazione dei settarismi, ma anche affrontare i problemi reali, per impedire che le difficoltà vengano strumentalizzate e i lavoratori si perdano dietro problemi artificiali creati dalle destre. In sei mesi possiamo già fare un bilancio positivo dell’agenda economica varata dal presidente, che conosce bene il mondo del lavoro. Se nonostante tutti gli attacchi, le destre non sono riuscite a scatenare un solo conflitto lavorativo, è perché c’è una forte coscienza. Hanno invitato Lech Walesa, sperando di creare qui una nuova Solidarnosc. Ma ci sono rimasti molto male quando lo stesso ex presidente polacco ha detto che non vedeva le condizioni per ripetere quanto avevano fatto loro contro l’Urss.

E’ vero che le nazionalizzazioni non funzionano, le imprese non producono e il socialismo bolivariano ha portato penuria e corruzione?
Abbiamo recuperato diversi tipi di imprese. Alcune, strategiche, funzionano bene: per esempio Cantv, la compagnia telefonica di stato, Envidrio, una fabbrica per imbottigliare vetro, la cui produzione era scesa sotto il 60% e ora è a più dell’85%, il Banco de Venezuela, che oggi è la prima banca del paese. Altre erano cadute a un livello molto basso perché i privati non avevano investito niente e i macchinari di erano deteriorati: parlo per esempio della grande impresa siderurgica Sidor, di Latte Andes, di Aceite Diana e di alcune cafeteras. Il primo obiettivo è stato quello di riattivarle, ma ci siamo trovati di fronte a ostacoli grossi, primo fra tutti quello delle materie prime: l’80% era importato, al massimo le nostre imprese assemblavano il prodotto: per l’inerzia del settore privato. I lavoratori del caffè Fama de America hanno lavorato il doppio e hanno raddoppiato la produzione, ma siccome il grosso della distribuzione è in mano ai privati, hanno visto con rabbia che il caffè spariva nel paese ma si vendeva nel paese vicino. Quando abbiamo ripreso il controllo di Pdvsa abbiamo recuperato anche la distribuzione, e per questo non c’è scarsità di benzina e derivati. Ora stiamo valutando la proposta che ha fatto la classe operaia di creare una compagnia nazionale autogestita della distribuzione. Intanto, l’inventiva operaia sta dando i suoi frutti per aggirare il sabotaggio economico, razionalizzando la produzione e riciclando gli scarti. Soluzioni che passiamo al vaglio del controllo ambientale, scientifico e sanitario. Il controllo operaio si sta attrezzando in vista di un boicottaggio ancora più duro. Poi ci sono le fabbriche abbandonate: una prassi corrente nella IV Repubblica, i proprietari chiudevano dall’oggi al domani, lasciando sul lastrico i lavoratori. Per noi, invece, prima di tutto bisogna mantenere il lavoro, anche se il recupero in questo caso è più lento, e a volte conviene di più creare un’altra impresa che mantenere in attività quella di prima. Ma il nostro imperativo è: fabbrica abbandonata, fabbrica recuperata.

Ma le critiche arrivano anche da un certo sindacalismo di sinistra, che accusa la burocrazia di stato di soffocare l’autogestione.
La nostra è una rivoluzione giovane che sta sperimentando diversi modelli di partecipazione, e il dibattito è acceso: gestione, cogestione, partecipazione diretta nella pianificazione, non abbiamo una ricetta unica, le combiniamo, dipende dalla grandezza e dalla situazione della fabbrica. A Cantv o a Pdvsa i lavoratori stanno nel consiglio direttivo, in altre hanno il controllo assoluto. Nel parlamento a maggioranza socialista, è stata discussa la legge per la nomina diretta delle strutture direttive della fabbrica da parte dei consigli operai, ma non è passata per assenza di accordo delle varie componenti sindacali. Da noi le leggi le fanno i lavoratori, si elaborano nelle assemblee. Tuttavia, attraverso decisioni concrete e risoluzioni pratiche stiamo avanzando in quella direzione.

Che significa essere sindacalista in un paese socialista e dove la più grande confederazione sindacale, la Ctv ha organizzato il golpe contro Chavez insieme alla Fedecamara?
Nella IV Repubblica, i sindacati tradizionali non producevano conflitti, ma corruzione, mafie e compravendita di posti di lavoro. In oltre cinquant’anni, la Ctv non ha organizzato un solo sciopero importante, non perché non vi fossero le condizioni, ma perché faceva gli interessi dei padroni. Per chi militava nel movimento sindacale non confederale c’era sicuramente un passaggio in carcere. Questo ministero, prima, dipendeva da quello degli Interni: perché la lotta sindacale era considerata sovversiva, e venne considerato legale solo uno sciopero indetto dalla Ctv. Ciononostante, abbiamo lottato e realizzato importanti conquiste sindacali. Poi, con Chavez si è avviato un altro percorso, un nuovo modello sindacale. Quando abbiamo vinto le elezioni, la disoccupazione superava il 15%, oggi è al 6%, nonostante il sabotaggio economico e la drastica caduta del prezzo del petrolio. E non si tratta di lavoro informale. Oggi c’è una posizione che considera prioritario l’obiettivo generale, gli interessi del socialismo, e secondario se non deleterio quello sindacale. E un’altra che – pur appoggiando il proceso bolivariano – separa la lotta sindacale e corporativa, a scapito della coscienza politica. Occorre tener presente che abbiamo solo avviato il cammino verso la transizione al socialismo, siamo in piena lotta di classe, dobbiamo far crescere la coscienza politica dei lavoratori ma anche organizzarne adeguatamente i bisogni economici non corporativi. La cosa importante è che, mentre i dirigenti sindacali dalla IV Repubblica erano funzionari, anche preparati, ma senza esperienza diretta del luogo di lavoro, oggi per noi è diverso. I quadri sono lavoratori. Per capire, basta vedere le manifestazioni del Primo Maggio: i sindacati di opposizione sono sigle vuote, non organizzano niente. Tutte le altre componenti stanno con noi, anche se vi sono scontri e differenze nella Centrale socialista bolivariana. I troskisti per esempio hanno organizzato importanti lotte per le nazionalizzazioni. Abbiamo molti conflitti. Ma il confronto è positivo e benefico.

Il ministro dell’Industria è un imprenditore, quello del Lavoro un sindacalista. Come si conciliano?
E’ la nostra realtà, la nostra sfida. Per discutere la nuova agenda economica ci siamo riuniti con molti grandi imprenditori che ovviamente non pensano al socialismo ma ai propri affari. Abbiamo detto loro: fino a oggi avete guadagnato molto con il governo, adesso è ora di mettere mano al salvadanaio per investire nel paese. Basta con la richiesta di dollari in cambio di zero investimenti. Lo stato non pagherà i debiti dei privati, ma tutti quelli che vogliono investire ed esportare, possono guadagnare. Solo quelli che considerano prioritario far cadere il governo e consegnare il paese in mani straniere non sono venuti, ma molti altri hanno accettato la proposta e si stanno dando da fare.

E in cambio di cosa? C’è chi dice che state svendendo il paese con l’apertura dell’arco minerario alle grandi imprese, che avranno condizioni di favore nelle Zone economiche speciali. I commercianti aumentano i prezzi. Il ministro dell’Industria parla di dollarizzare il paese.
Nessuna svendita e nessun ricorso a monete diverse da quella nazionale, il bolivar. Anzi, la posizione di tutte le istanze di governo è di spingere per lo sviluppo della nostra moneta alternativa, il Sucre, ideata per gli scambi regionali all’interno dell’Alba. Alle riunioni con gli imprenditori erano presenti i lavoratori. Nelle Zone economiche speciali vi saranno solo vantaggi fiscali per quelle imprese che intendono investire ed esportare. Nessun guadagno si farà a spese dei diritti del lavoro e dell’ambiente. Il controllo operaio e quello degli indigeni che abitano l’arco minerario è attento. Previa consultazione, si cercherà di favorire e federare i progetti minerari in piccola scala, disinnescando l’estrattivismo illegale. Non possiamo negare che nell’abbassamento del livello delle dighe vi sia anche l’attività dei trafficanti d’oro che portano le ricchezze oltrefrontiera. Le imprese dovranno sottostare alle leggi del lavoro e a quelle ambientali. Con il pacchetto di misure che il governo ha varato, con la distribuzione dal basso di alimenti base, con i programmi agricoli su piccola e larga scala, con la lotta alle mafie in colletto bianco e a quelle di strada, nonostante i sabotaggi interni e internazionali, stiamo già vedendo i risultati.