«Liberate Leopoldo Lopez». Firmato, Barack Obama. Il presidente degli Stati uniti ha chiesto la liberazione del leader dell’opposizione venezuelana, Leopoldo Lopez, in carcere con l’accusa di aver organizzato e diretto azioni violente durante le proteste contro il governo di Nicolas Maduro, scoppiate nel febbraio scorso. Lopez, dirigente di Voluntad popular dai trascorsi golpisti, è in attesa di processo. La sua udienza è stata nuovamente posticipata a causa della malattia di un coimputato. Obama ne ha chiesto la liberazione durante un meeting della Clinton Global Iniziative, nell’ambito del vertice Onu sul clima: ponendolo al primo posto di una lista di detenuti «che meritano di essere liberi» a Cuba, in Vietnam, in Burundi…

Una risposta al discorso di Maduro, che, davanti all’Assemblea generale delle Nazioni unite, ha nuovamente domandato la liberazione dell’indipendentista portoricano Oscar Lopez Rivera, in galera negli Usa da 33 anni: «Un prigioniero politico come Nelson Mandela», ha detto Maduro, e ha chiesto a Obama «un atto di generosità».

Lo stile di Maduro non è quello del suo predecessore Hugo Chavez: «Non siamo stati, non siamo e non saremo mai anti-statunitensi – ha detto all’Onu – però siamo, nel solco di Simon Bolivar, antimperialisti, anticolonialisti, antischiavisti e anticapitalisti. I venezuelani sono pro-umanisti, pro-cristiani e pro-socialisti». Gli Stati uniti – primo acquirente del petrolio venezuelano, gestito da un’impresa pubblica e destinato soprattutto ai programmi sociali del governo socialista – badano però alla sostanza. E la sostanza della «rivoluzione bolivariana», confermata dalle urne da 15 anni, è quella di una economia mista – statale, privata, autogestita e cooperativa – che mira a ridimensionare ulteriormente il peso della proprietà privata come ha già fatto con il latifondo. Un indirizzo che ha fatto scuola nel continente (gonfio di risorse), dove i governi socialisti e progressisti si muovono all’insegna della sovranità e dell’interscambio solidale. E per questo, sia i rapporti di intelligence che gli infuocati editoriali di Miami, considerano Maduro «più pericoloso di Chavez».

Il welfare venezuelano si è peraltro spinto fino ai quartieri poveri degli Stati uniti. Nel 2005, Petroleos de Venezuela (Pdvsa) attraverso la sua filiale Cirgo ha iniziato a somministrare gratuitamente combustibile a 25 stati degli Usa per consentire a 150.000 famiglie non abbienti di scaldarsi durante l’inverno. E per questo, Joseph Kennedy II, presidente della Ong Citizens Energy Corporation ha accolto Maduro come «il presidente del popolo», insieme a una folla di cittadini e movimenti sociali del Bronx: «Non usiamo i dollari per cospirare o per finanziare guerre, ma per il benessere della popolazione», ha detto Maduro. E il riferimento è alle informative, rese pubbliche nei giorni scorsi in Venezuela, sui fiumi di denaro che arrivano ogni anno nel paese per finanziare piani destabilizzanti dell’opposizione attraverso certe Ong.

Alcuni leader del gruppo antisemita Javu, alla testa di Ong finanziate da espatriati di Miami e dal paramilitarismo colombiano, sono stati estradati dalla Colombia, e ora sono agli arresti. Le intercettazioni contenute in diversi video, li mostrato mentre progettano omicidi e stragi, o si vantano di crimini già compiuti nel corso delle proteste di febbraio e marzo. D’altro canto, il paese non difetta certo di armi. Da anni il governo cerca di far approvare una legge per il disarmo, che ora è in discussione in tutto il paese, sponsorizzata da artisti e sportivi famosi.

Nel Bronx, Maduro ha anche escluso l’eventualità di vendere la Citgo come alcune dichiarazioni dell’ex ministro del petrolio, Rafael Ramirez (ora agli Esteri) avevano lasciato intendere. Il problema – hanno scritto allora alcuni editorialisti nordamericani, provocando allarme in Borsa – è che il Venezuela è in crisi di liquidità e, per non rischiare il default, deve vendere i gioielli di famiglia. Un allarme subito stoppato dal governo che ha ribattuto: «Pagheremo il debito estero fino all’ultimo centesimo».
Intanto, Maduro ha annunciato «uno scossone», basato su «cinque rivoluzioni»: per combattere contrabbando, corruzione e insicurezza, e per sviluppare l’economia comunale. La presenza del colombiano Ernesto Samper alla segreteria generale della Unasur ha riportato in primo piano anche la questione del dialogo con l’opposizione, che sta affilando le armi in vista delle parlamentari del dicembre 2015.

Il partito socialcristiano Copei – che ha gestito il potere politico durante la IV Repubblica, insieme al centrosinistra di Ad – si è detto pronto a tornare al tavolo: soprattutto dopo la liberazione dell’ex commissario Ivan Simonovis, in carcere per le sue responsabilità nel colpo di stato contro Chavez del 2002. Una decisione che ha provocato l’ira dell’Associazione delle vittime dell’11 aprile, parenti di chi è caduto sotto i colpi della polizia diretta da Simonovis a Puente LLaguno.

La coalizione di opposizione – la Mesa de la Unidad Democratica (Mud) – ha eletto infine un nuovo segretario esecutivo, Jesus “Chuo” Torrealba. Giornalista di Radio Caracas Radio (Rcr) ha insegnato all’università e ha militato nel Partito comunista venezuelano fino al 1974. Nel 2012, l’Associazione israelita del Venezuela gli ha conferito un premio importante. La Mud cerca di pescare nel sociale l’anti-Maduro, anche a costo di far storcere il naso alle componenti di estrema destra, capitanate da Leopoldo Lopez e Maria Corina Machado. Una delle ragioni per cui lo abbiamo proposto – hanno spiegato alcune componenti Mud – è per il suo «atteggiamento imparziale e a difesa dei più deboli». A proposito del dialogo, Torrealba ha dichiarato: «Assumeremo l’impegno che ci spetta assumere, perché siamo democratici e abbiamo il dialogo nel nostro dna, ma non permetteremo che il dialogo venga utilizzato per dividerci».