L’avanguardia dei leghisti, quelli dell’uso improprio della bandiera italiana (indimenticabile «il tricolore lo metta al cesso, signora» per cui Bossi è stato condannato per vilipendio) sono i primi ad arrancare sotto il sole ancora caldo fino a piazza del Quirinale. Costituzione sottobraccio, si fanno foto patriottiche davanti all’entrata del Palazzo. I funzionari di polizia aggrottano la fronte. Loro: «Non vorrete sgomberare dei senatori della Repubblica, vero?». Dietro arriva il resto della truppa. Apre il corteo Loredana De Petris (Sel), Gian Marco Centinaio, lùmbard, e Vito Petrocelli, 5 stelle. I grillini sono il grosso del corteo. Attraversano il centro di Roma tricolore al braccio e pattuglione del circo mediatico al seguito, tutti in marcia verso il Colle a bussare alla porta del presidente Napolitano già detto «Morfeo», «boia», «violentatore della Costituzione» e via scendendo fino alla richiesta di impeachement: todo cambia.

I dissidenti del Pd e quelli di Forza Italia sono rimasti al senato. La pattuglia di Sel c’è, ma fa gruppo a parte, consapevole della variopinta compagnia con cui si trova a difendere la Costituzione. Prima di lasciare l’aula del senato De Petris dà il là alle contestazioni, appena il presidente Grasso annuncia il contingentamento dei tempi: «Avete voluto forzare, volete applicare quello che è inapplicabile per una procedura di riforma costituzionale. Avete voluto introdurre in modo surrettizio e vigliacco quello che in gergo viene chiamata tagliola».

Al Quirinale era già stata ricevuta mercoledì pomeriggio per spiegarsi con il presidente, stavolta ci torna con Petrucelli e Centinaio. Ma Napolitano non li riceve. Manda il segretario genera della presidenza Donato Marra che garantisce che il presidente «vigilerà sull’iter del ddl costituzionale». I grillini indispettiti ritornano poco quirinalizi e lanciano un appello che è una minaccia: «Fermi questo scempio, restituisca ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti. È l’ultima opportunità per Napolitano di dimostrare che è il capo di tutti gli italiani e non solo di una parte. Se rimarrà sordo a questo ultimo grido di allarme nulla sarà più come prima».

Ma il presidente, si sa, vede come fumo negli occhi gli ostruzionisti. Per Renzi invece sono una manna scesa dal cielo. Nel pomeriggio un sondaggio Sky dice che gli italiani con lui sono quasi il 60 per cento, tendenza al rialzo. Nel transatlantico Maurizio Gasparri la spiega così: «Trattare? Renzi non vuole: così parla al vecchietto che beve una granita sotto l’ombrellone, vede la tv e dice: mortacci loro, ’sti senatori non vogliono fare niente». In aula il leghista Calderoli svela il gioco: «Le opposizioni hanno inviato le loro richieste scritte e sappiamo che lunedì pomeriggio ci sarà una nuova capigruppo. Cosa impediva di aspettare lunedì e vedere? Avverto che con questa volontà della maggioranza e delle opposizioni la riforma non la si fa». Se resta il muro contro muro , hai voglia a contingentare i tempi: gli emendamenti restano quasi 8mila, «anche solo 1 minuto per ciascun voto, noi l’8 di agosto la riforma non la approviamo, per ragioni matematiche.È come voler mettere due litri d’acqua in una bottiglia da un litro». La tagliola, è il senso del discorso, poteva essere decisa più avanti, lunedì, alla ripresa della discussione sulle riforme – da ora in avanti si occuperà dei decreti in scadenza. E invece il governo cerca lo scontro, così si perdono altre due ore a litigare sulla tagliola.

«Qualcosa non torna», ragiona Massimo Mucchetti, dissidente Pd: «In commissione abbiamo fatto tutto in tempo per cominciare la discussione dei decreti in aula alle 4 in punto. E invece…». E invece in aula viene lanciata la bomba-tagliola che fa saltare i nervi all’opposizione. «Non si può chiedere a Renzi di fare una mediazione se questi prima non abbassano le armi. Qui siamo come fra Israele e Hamas: la pace non la vuole nessuno», ragiona l’ex dalemiano ora renzista Nicola Latorre. In realtà i ’ribelli’ lanciano qualche ramoscello. Paolo Corsini, dissidente Pd, chiede «una pausa di riflessione utile a mettere sul tavolo le questioni ancora aperte e divaricanti». E cioè: elettività dei senatori, immunità, numero dei parlamentari, referendum, leggi di iniziativa popolare.«La riapertura del confronto è la strada maestra per arrivare in tempi congrui all’approvazione di una legge buona e largamente condivisa», conclude. Il presidente Grasso gli fa un sorriso: «Siccome ci dovremmo occupare della conversione dei decreti-legge, c’è tempo perché, come lei auspica, la politica continui a fare il suo corso».

Insomma c’è ancora tempo per trattare. Certo, sull’elettività e sul numero dei parlamentari il governo non tratta. Sul resto forse sì. Ma la prossima settimana. Oggi Renzi deve portare a casa il massimo dello sdegno popolare contro ’gufi e frenatori’ e fare davanti ai cittadini la parte di quello tosto: «Non mollo».