La verità sull’assassinio di Giulio Regeni è un diritto per la famiglia, i suoi amici, i giovani ricercatori. È un dovere per il nostro governo. Non ci si può arrendere.
Non sarà facile, lo sappiamo. La resistenza del governo italiano si scontra con l’omertà delle autorità egiziane. Perché il go

verno non abbandoni questa causa occorre una mobilitazione continua. Un impegno che esiste ma non è ancora sufficiente. Scoprire la verità sull’assassinio di Giulio aiuterà anche chi in Egitto si batte per la democrazia e la libertà.

Gli assassinii sono all’ordine del giorno al Cairo, così come gli arresti degli oppositori e dei militanti che nel 2011 avevano cominciato la loro rivoluzione in piazza Tahrir.

Confesso che vivo questa situazione con estrema angoscia, non mi posso liberare del mio passato e non posso dimenticare che la mia battaglia (ovviamente non solo mia) per la verità sulla morte di Nicola Calipari è franata sotto la ragion di stato, il nostro governo ha rinunciato a far valere la propria sovranità nei confronti degli Stati uniti. Certo ora si tratta dell’Egitto (anche se gli interessi con questo paese sono enormi) e non della grande potenza occidentale, allora ancora guidata da Bush. È stato facile insabbiare il caso e imporre il silenzio.

Ogni giorno rivivo i giorni di prigionia del febbraio del 2005, ogni giorno accanto al volto di Giulio mi appare quello di Nicola. Seguo tutte le notizie, le trasmissioni, invio sms, tweet, perché tra i casi di verità e/o giustizia irrisolti si citi anche quello di Nicola Calipari. Inutilmente. Perché?

Forse perché alcune verità sarebbero più scomode (politicamente) di altre. Basta vedere l’attacco scatenato contro questo giornale dopo la morte di Giulio. Non importa se lui sosteneva fosse il suo punto di riferimento. L’immagine di una persona che non c’è più si può trascinare nel fango o innalzare su un altare o far sparire nelle sabbie mobili, senza pudore.

Io voglio ricordare che Nicola Calipari era un uomo (importante) dei servizi segreti, impegnato nella missione di portare in salvo la mia vita in una zona dove infuriava la guerra. Il manifesto non esitò a dire che la sua era una missione di pace.

Ma quando Calipari era tornato in una bara (ucciso dagli americani dopo avermi liberato dai rapitori e protetto dalle raffiche di mitragliatrice) non avevano detto tutti che era un brav’uomo? Ricordate la folla ai suoi funerali? Non c’era solo l’apparato di stato ma molta gente comune. Dove sono finiti tutti quei giornalisti che allora avevano riempito pagine sul suo impegno? Per la maggior parte, in una grande zona di silenzio.

Oggi giustamente si ricorda piazza Fontana, il Cermis, il rapimento di Abu Omar, etc. , si chiede il blocco dei rapporti commerciali con l’Egitto, il boicottaggio del turismo senza pensare che senza turisti, uno degli introiti principali del paese, sarebbero gli egiziani a restare senza lavoro.

Per questo non mi stancherò di chiedere la verità per Giulio, come non mi sono mai stancata di chiedere quella per Nicola.