Siamo a un passo dalla formazione di un governo di unità nazionale tra le due fazioni libiche di Tripoli e Tobruk. Circola già la lista dei dodici ministri che il parlamento della Cirenaica avrebbe proposto al mediatore delle Nazioni unite, lo spagnolo Bernardino León. Tra loro figurano Abou Bakr Baera, strenuo difensore del federalismo libico e capo delegazione nei colloqui di Skhirat in Marocco; Aref El Nayed, ambasciatore libico negli Emirati arabi uniti e Abdel Rahman Shalkam, ex delegato alle Nazioni unite.

Nel possibile futuro esecutivo si annoverano anche vari ex uomini di Gheddafi, come l’ex premier Jadallah Azuz al-Talhi, l’ex ministro degli Esteri, Abdulrahman Shalgam, e l’ex ambasciatore libico in Giordania, Mohamed al-Minifi. L’incarico di vice-premier andrebbe a una donna: l’attivista Amal Al-Taher Al-Haj. Non mancano neppure esponenti della debole società civile libica dall’ex vice-presidente del Consiglio nazionale di transizione, Mustafa al-Huni, agli attivisti, Aref Nayed, ambasciatore libico negli Emirati, Nabil al-Ghadamsi e Mohamed Ibaid, con solidi legami con i giovani egiziani pro-militari (ex Tamarrod). L’ex agente Cia, Khalifa Haftar, ha voluto inserire anche il suo braccio destro, Abdulsalam Abdaljalil. Altra nomina per rappresentare Tobruk come il legittimo rappresentante dei gheddafiani e dei rivoltosi libici è quella di Dow Budawia: esponente della tribù dei Warshefana, sostenuto da Mahmoud Jibril, ex primo ministro ad interim del governo provvisorio.

Come è spesso emerso dagli intricati meccanismi di potere della Libia post-Gheddafi, né l’una né l’altra fazione può essere identificata come espressione di un’autentica transizione democratica, realmente lontana da affiliazioni terroristiche o legami stabili con i miliziani. Al contrario Tobruk e Tripoli sono sempre più un sottoprodotto delle due milizie che si combattono più aspramente per la spartizione del territorio: Misurata che patteggia, insieme ai miliziani Fajr (Alba), per Tripoli grazie al sostegno del Qatar e dei fuorilegge Fratelli musulmani egiziani; e Zintan che soccorre i deboli militari di Tobruk foraggiati da armamenti e sostegno diplomatico dal Cairo.

Eppure perché si concretizzi una parvenza di intesa tra le parti manca sempre il via libera di Tripoli. Nei giorni scorsi è emerso uno scontro aspro nella delegazione della Tripolitania a Ginevra, conclusosi con il forfait del capo-negoziatore. Bernardino León, ormai consapevole della necessità che all’intesa definitiva venga apposta anche la firma di Tripoli, dopo un primo accordo dimostratosi inutile a cui avevano dato il loro assenso solo i parlamentari di Tobruk, ha cercato di correre ai ripari. Il mediatore Onu è volato ad Istanbul per incontrare singoli parlamentari di Tripoli.

E ha parlato di «risultati tangibili». «Abbiamo avuto una discussione franca e aperta, con diverse osservazioni e commenti», ha aggiunto León. L’inviato Onu vorrebbe che si arrivasse ad un’intesa entro il 10 settembre che venisse ufficializzata non oltre il 20 ottobre. Intanto domani riprendono i round negoziali di Ginevra.

Pare chiaro ormai che anche i parlamentari tripolini vogliano che l’intesa si concretizzi per due motivi. Prima di tutto, lo scopo è di escludere definitivamente un intervento armato, come auspicato dal Cairo e da Haftar che andrebbe a favore di Bengasi e potrebbe annientare il Congresso tripolino. In secondo luogo, una missione di peace-enforcement a guida italiana, con truppe inglesi, francesi e spagnole, che prenderebbe il via non appena l’intesa venisse ufficializzata con il pretesto di fermare i contrabbandieri che fanno affari sui migranti e dare respiro al mercato petrolifero, è vista di buon occhio se non richiesta a gran voce da Tripoli.

Sirte e Bengasi continuano a essere città fantasma. Nella città natale di Gheddafi continuano a spadroneggiare i sedicenti seguaci dello Stato islamico. I jihadisti avrebbero ottenuto anche rinforzi di combattenti nigeriani affiliati a Boko Haram. A Bengasi invece non si fermano le esplosioni in un contesto di completa distruzione. Cinque soldati, tra cui due comandanti delle forze speciali libiche, sono morti nell’esplosione di un ordigno in un quartiere meridionale del capoluogo della Cirenaica. L’attacco è stato confermato dal portavoce dell’esercito di Tobruk, Miloud Zouai.