Dopo Porno e Skagboys, «L’artista del coltello» (edito da Guanda) è il terzo libro di Irvine Welsh «germogliato» dalla sua opera più famosa, «Trainspotting». Mentre nei primi due ritroviamo un po’ tutti gli anti-eroi che hanno reso lo scrittore scozzese celebre in tutto il mondo, nella sua ultima fatica a monopolizzare la scena c’è solo Frank, Franco per gli amici, Begbie. Ovvero lo psicopatico dal coltello facile per il quale ogni scusa era buona per far scoppiare una rissa, che però qui ritroviamo «purificato» da un percorso di inattesa e profonda redenzione. Si è gettato alle spalle gli anni trascorsi nelle patrie galere e una vita punteggiata da brutalità e crimini. Ora si fa chiamare Jim Francis, è sposato con la bella Melanie, ha due amorevoli bambine e vive in California in una casa con vista sull’Oceano. E soprattutto fa l’artista. Riscuotendo pure un notevole successo. I vip fanno la fila per mettere le mani sui suoi quadri e le sue sculture che, come suggerisce il titolo del libro, come tratto distintivo hanno «ferite» inferte dalla sapiente lama dell’autore. Per di più i soggetti preferiti sono proprio quelle stesse celebrità, «menomate» da una furia iconoclasta che, come sappiamo, nasce da lontano. Molto lontano. L’idillio familiare di Franco alias Jim viene improvvisamente scombussolato da un evento tragico che accade a oltre settemila chilometri di distanza, nella fredda e piovosa Edimburgo. È il passato che ritorna senza fare sconti. L’ex galeotto non si tira indietro, sa che deve rimettere piede in quei luoghi che pensava di aver cancellato in maniera definitiva dalla sua vita. All’apparenza è in grado di gestire le situazioni borderline con cui si deve confrontare in Scozia, dove mancava da quasi un decennio. Il suo auto-controllo è ormai da manuale. Basta tirare un lungo sospiro, contare lentamente fino a tre e la rabbia si dissolve, evapora, svanisce. Sicuri che sia sufficiente? Che il sottobosco criminale dentro cui ci immergiamo grazie alla sapiente narrazione di Welsh non finisca per scatenare il vero istinto di una persona intossicata dalla violenza fin dalla tenera età? E soprattutto che il novello dottor Jekyll abbia davvero seppellito per sempre il tremendo Mister Hyde?
In questo viaggio negli inferi di Edimburgo si aggiungono preziosi tasselli sull’adolescenza di Begbie. Le prime zuffe a scuola con i compagni che lo canzonavano perché non sapeva leggere – e infatti scopriamo che tanto, forse tutto nasce da una dislessia bellamente ignorata dagli insegnanti – e i primi crimini, quando il nostro non aveva ancora raggiunto la maggiore età. Sullo sfondo troneggia il personaggio del nonno, che rappresenterà una figura centrale per l’iniziazione al male di Franco. Riscopriamo così una Edimburgo cupa e claustrofobica, dove la colta borghesia della New Town viene scalzata dai docker di Leith, gente tosta e che non fa compromessi, proprio come Begbie Senior. Come al solito Welsh è magistrale nel rendere alla perfezione l’atmosfera che si respira nei luoghi in cui sono ambientate le sue storie, a caratterizzare in maniera netta e inconfondibile i personaggi, ma soprattutto a dare un ritmo unico allo sviluppo narrativo con la brillantezza e l’esplosività dei dialoghi. Per chi volesse cimentarsi con la versione originale, all’inizio alcuni passaggi in slang scozzese sono un po’ duri da digerire, ma poi ci si fa con piacere l’abitudine e così sembra davvero di venir catapultati nel proverbiale squallore dei pub frequentati dalla complessa umanità welshiana.