Una metropoli con dodici milioni di abitanti, grattacieli, autostrade urbane, smog, favelas, ricchezza e povertà. «Sampa» è un concentrato scioccante e iperbolico della dimensione urbana: le architetture audaci di Oscar Niemeyer si fondono con parchi curatissimi (Ibirapuera), i quartieri residenziali lambiscono zone di costruzioni basse. La centralissima Avenida Paulista è sempre epicentro di rumorose manifestazioni di protesta mentre vi si affaccia il futuristico MASP (Museu de Arte de São Paulo).

In questo contesto la musica svolge un suo ruolo, meno accentuato rispetto a Rio de Janeiro o Bahia. Si tenta di raccontarlo in qualche tappa. Il 3 luglio davanti all’auditório Ibirapuera si è tenuto il Samsung E-Festival Instrumental: la struttura, opera avveniristica di Niemeyer, ha una sala interna e un palco che si affaccia all’esterno dove si è tenuta la rassegna, in uno spazio strapieno di giovani paulistani. Alle 18 inizia la performance, gratuita, con un filmato che ricorda il fine ecologista e di integrazione sociale dell’operazione e l’importanza della cultura. Suona, subito dopo, il quintetto del bassista e compositore Sérgio Carvalho, vincitore del festival, con un jazz intimamente meticciato alla Musica Popular Brasileira. A seguire l’Orchestra Juvenil Heliópolis (60 giovani strumentisti) esegue impeccabilmente Rossini, Beethoven e Tchaikosky prima di accompagnare la popolare cantautrice Vanessa da Mata.

Eppure è l’orchestra sinfonica – frutto di un progetto di «recupero» e «prevenzione» attraverso la musica – che attira maggiormente l’attenzione; il giorno dopo è previsto un incontro tra i jazzisti Dino Rubino e Rino Cirinnà e il sottoscritto – ospiti dell’Istituto Italiano di Cultura – e la scuola nella favela Heliópolis (120 mila abitanti!), dove è nata questa realtà così importante. La zona si raggiunge dopo un lungo percorso, costeggiando grattacieli e casupole. Arriviamo all’Instituto Baccarelli (presidenti emeriti Silvio Baccarelli e Victório Broetto; patrono Zubin Metha; direttore artistico e «regente» Isaac Karabtchevsky) che ha una storia singolare come ci racconta in un’aula della frequentatissima struttura Fernanda S.Mosaner da Costa Pinto (gestione della comunicazione & marketing).
«L’istituto è stato costruito per iniziativa del maestro Silvio Baccarelli, sacerdote e Maestro di musica. Dopo aver visto con i suoi occhi il catastrofico incendio nella favela del 1996, decise di fare qualcoa per aiutare gli abitanti. È andato in una scuola vicino alla favela e ha convinto la direttrice – dopo sei mesi – ad avviare corsi per strumenti ad arco e coro. Aveva 36 allievi di diverse età ed ha iniziato facendo quasi tutto da solo.

Nel 2000 ha preparato un progetto ed ha potuto cercare sponsor Rouanet Act): il primo è stata la WolksWagen. Con più denaro è riuscito ad accogliere altri allievi, un coro e una camerata. A questo punto si è reso conto che bisognava costruire una struttura vicino alla favela. Nel 2002 ha trovato una vecchia fabbrica di succhi di frutta abbandonata dove ha ridato vita alla scuola. Lì hanno studiato e si sono formati, con un maggior numero di sponsor, fino a cinquecento allievi. A quel punto si è pensato di progettare una nuova struttura. Siamo nel 2005, è stato individuato un terreno – donazione della prefettura – ed è stato approvato un progetto di tre edifici: due realizzati e il terzo (il teatro) ancora non è stato edificato. Si è cominciato a costruire nel 2005 e nel 2008 la scuola si è trasferita qui. La realizzazione è avvenuta grazie ad una donazione dell’istituzione Pró-Vida. Nel 2011 è stato costruito il secondo edificio (donazione Electrobras)».

Che cosa caratterizza l’istituto, oltre alla sua azione educativa presso i giovani della favela di Heliópolis?

Credo che la differenza dell’istituto con altre strutture e scuole di musica sia che noi siamo nati dal nulla e senza progetto pedagogico a-priori, improvvisando e costruendo via via dagli errori. Abbiamo la grande fortuna di aver sviluppato un meccanismo e una tecnica che per noi funzionano molto bene. Iniziamo dai quattro anni, con i bambini: facciamo tre anni di musica/animazione, propedeutica. Imparano a leggere le parti quasi senza rendersene conto, in modo giocoso, ludico. Poi vanno alla corale, obbligatoriamente tutti devono cantare e così imparano l’intonazione, le chiavi più semplici… Inoltre c’è l’aspetto fondamentale del gruppo: imparare ad ascoltare gli altri, sentirli, cantare insieme, essere aperti e questo li aiuta. Quando iniziano a studiare lo strumento, che è la terza tappa – dopo gli otto anni – scelgono di frequentare la corale oppure no. Comunque nessuno inizia a studiare lo strumento senza aver fatto attività corale. Questo dà loro una base molto importante e una tecnica di studio basata sul lavoro collettivo.

Occupandovi di classica, che tipo di musicisti formate?

Noi formiamo musicisti d’orchestra, non solisti; se c’è un talento viene valorizzato, ma per la generalità lo studio è focalizzato su un repertorio per musicista d’orchestra. È importante, abbiamo una logica diversa da quella del conservatorio perché dopo due anni di studio dello strumento i nostri fanno parte di una delle nostre orchestre: Orquestra Infantil de Cordas, O. Infanto Juvenil, O. Juvenil Heliópolis, O. Sinfônica Heliópolis. Abbiamo 1.300 allievi, la maggioranza viene dalla favela ma facciamo un selezione perché vogliamo creare dei professionisti: facciamo in modo che il loro sia un lavoro e che non abbandonino la musica, anche se talvolta le famiglie fanno pressione…

Il discorso si interrompe perché si è liberata l’aula grande per l’incontro tra i jazzisti Dino Rubino (piano, tromba e flicorno) e Rino Cirinnà (sax tenore, varie esperienze didattiche con carcerati e ragazzi provenienti da ambienti mafiosi) sul tema dell’improvvisazione. La sala è piena di bambini/e, adolescenti, qualche docente e ragazzi/e più grandi. Tutti curiosi, attenti, sereni, divertiti. Sono bravi Cirinnà e Rubino a sciogliere l’imbarazzo, coinvolgendo via via due giovanissimi contrabbassisti, un bassista più adulto, un pianista, un batterista, un altro contrabbassista ed infine un violinista con una marcata personalità. I due jazzisti italiani cercano di far capire il meccanismo dell’improvvisazione e ci riescono con un coinvolgimento diretto, divertente e divertito. Se Cirinnà stabilisce il contatto ed è più didattico, Rubino è ispiratissimo soprattutto alla tromba e al flicorno.
L’incontro si articola tra improvvisazioni su pedale, Garota de Ipanema, Watermelon Man e Autumn Leaves; finisce solo perché l’aula grande serve per una lezione d’insieme. I ragazzi sono felici e incuriositi, si scambiano con Rubino e Cirinnà grandi complimenti, alcuni si avvicinano perché avrebbero voluto suonare ma non ne hanno avuto il coraggio. Esperimento riuscito, a riprova di un’ottima formazione musicale, di curiosità e voglia di ascoltare da parte di tutti, anche dei giovanissimi e pur lavorando su repertori classici e corali. Un successo.
L’ultima tappa sonora, è dedicata dall’Istituto italiano di Cultura, diretto da Renato Poma, all’ Italia in Jazz. Nel sempre vivo e pulsante Centro Cultural São Paulo in rua Vergeiro si concentrano una serie di proposte; l’inaugurazione della mostra fotografica di Pino Ninfa Come un conto chamado jazz, 42 scatti che costituiscono una sintesi efficace di un percorso fotografico fortemente evocativo. Subito dopo è in programma una «conferência» su Il Brasile nel jazz italiano (Rava, Bollani, De Vito, Mirabassi, Stilo, Casini…): collaborazioni, riletture, immaginari sonori tra i due paesi latini.
Si chiude con il concerto multimediale Viaggio tra spirito e natura: scatti di Ninfa, musiche di Dino Rubino e Rino Cirinnà. Il fotografo ha preparato nove sequenze per mostrare aspetti del sacro e del rapporto uomo/natura in vari luoghi del pianeta. Due sequenze sono state realizzate pochi giorni prima proprio in Brasile: nella Serra da Capivara (nel Nordest) dove ci sono pitture rupestri antichissime e a São Luis de Maranhao, sede delle coloratissime feste tradizionali del «bumba meu boi». Le foto di Ninfa e le musiche sempre ispirate di Rubino-Cirinnà hanno viaggiato tra le chiese copte etiopiche, le township del Sudafrica, la Dancalia, Lima, Katmandu, Addis Abeba, Trapani …
Nel trasformare in suono le immagini, i due jazzisti hanno usato materiali di repertorio, composizioni originali ed improvvisazioni, servendosi talvolta di basi campionate, in una perfetta sinergia tra arti e tra strumenti: il piano ora carezzevole ora energico di Dino Rubino (con un episodio ispirato al flicorno), il sax tenore di Rino Cirinnà, dalle mille sfumature e dalla forte personalità. Il viaggio si conclude con un viaggio, come in un gioco di scatole cinesi.