Quando nel 2005, con un’operazione da 830 milioni di sterline, la famiglia Glazer arrivò dagli Usa per rilevare la quasi totalità delle azioni del Manchester United in tanti, nella città del Lancashire, storsero la bocca. Anche perché, tramite arguzie e acrobazie contabili, una larga fetta della somma investita dagli imprenditori statunitensi fu accollata allo stesso club dell’Old Trafford. Per un nutrito gruppo di supporter, già totalmente disillusi nei confronti del modern football, quell’evento rappresentò la classica goccia che fa traboccare il vaso. Meglio dire addio alla Premier, ai suoi stadi iper-moderni svuotati dall’atmosfera di una volta, ai suoi biglietti iper-inflazionati e alla spettacolarizzazione estrema imposta dall’ormai irrefrenabile Sky. Meglio farselo e gestirselo in proprio, il club, partendo dalle fondamenta della piramide calcistica inglese.

Fu così che nacque l’FC United of Manchester. Dopo essere stati per un decennio ospiti del Bury, compagine della periferia di Manchester che attualmente milita nella terza serie professionistica, dal principio dell’attuale stagione i ribelli dell’FC United hanno finalmente una casa tutta loro. Un passo imprescindibile per garantire la sostenibilità a lungo termine del club, quello di avere un impianto di proprietà. Noi abbiamo visitato il neonato Broadhurst Park Stadium in una tipica giornata di Manchester: faceva freddo ma soprattutto pioveva tanto. Anche il luogo dove è sorta la nuova arena non è casuale, ma rappresenta un romantico ritorno alle origini. Quando si scende alla fermata del Metrolink di Newton Heath & Moston si scorge una vecchia locomotiva e l’insegna di un deposito treni. Proprio qui nel 1878 i dipendenti dell’ormai defunta Lancashire and Yorkshire Railway (LYR) decisero di occupare il loro tempo libero dando due calci a un pallone. Nacque così il Newton Heath LYR Football Club. I colori furono per una decina di anni il giallo e verde aziendale, mentre il primo campo di gioco era costituito da un lembo di verde recintato sulla North Road, a un tiro di schioppo proprio dal Broadhurst Park. Nel 1902 la denominazione mutò in Manchester United. Il resto è storia.
Ora si calcola che i Red Devils possano contare su 670 milioni di supporter sparsi in tutto il mondo. Un tale bacino d’utenza fa sì che il valore della compagine della metropoli del Lancashire sia stimato in circa 1,2 miliardi di euro. Tutti discorsi che interessano poco agli «altri», che anzi ormai pensano soprattutto a coltivare il loro progetto. «In verità un centinaio di tifosi continuano ad andare a vedere anche le partite del Manchester United, poi in tanti seguono le sue sorti, mentre solo una minoranza ha tagliato del tutto i ponti con il passato» ci spiega John England, uno dei 12 membri dello staff del club. Lui è impiegato part-time, così come i giocatori, ma per sua stessa ammissione lavora un monte ore e un numero di giorni da stakanovista. «Sai, la passione è tanta e le cose da fare non mancano mai…».

Parlando con John della fede calcistica dei ribelli ci viene subito in mente una scena del film di Ken Loach Il mio amico Eric, in cui uno dei protagonisti, nonostante abbia sposato la nuova causa, non riesce a nascondere il suo legame con il passato. Difficile recidere il cordone ombelicale e non a caso l’FC United dei Red Devils originali ha i colori, il simbolo (quello in auge negli anni Settanta) e il nome. Ma per alcuni aspetti fondamentali le differenze con la società di proprietà dei Glazer, e anche con le altre super-potenze della Premier, sono abissali. Nel manifesto dell’FC United, scritto nel 2005 e da quel momento rimasto immutato, si menzionano valori comunitari, una struttura orizzontale e trasparente e un grande coinvolgimento dei più giovani. Allora non stupisce che i rapporti con la comunità locale siano ottimi e che siano stati condivisi vari progetti, di recente soprattutto iniziative di solidarietà con i migranti. E ancora, che a eleggere il board siano i 3.800 members attuali, cui vanno aggiunti 700 under 16, i quali non hanno ancora diritti di voto ma la squadra la seguono lo stesso ben volentieri grazie a una politica di prezzi accessibili a tutti. Perché, mai dimenticarselo, quelli dell’FC United sono tifosi, non «consumatori».

Così la squadra, neo-promossa nella sesta serie del calcio inglese, si ritrova una media spettatori sulle 3.500-4mila presenze a partita. Un’enormità anche per il football dilettantistico inglese, tanto che il budget annuale, che si aggira sui due milioni di sterline – ogni avanzo di bilancio viene subito rinvestito nel club – è tutt’altro che da disprezzare. A proposito di quattrini, Broadhurst Park è costato 6,5 milioni di sterline. «Circa la metà della spesa l’hanno sostenuta in varie forme i nostri supporter, mentre il resto sono soldi pubblici o di enti come la Football Foundation» fa il punto England. L’impianto in legno e acciaio può contenere 4.400 persone, che possono scegliere la comodità dei posti a sedere in tribuna oppure di godersi il match dalle gradinate, dove si sta in piedi, si canta a squarciagola e ci si diverte con gli amici. Una delle classiche terrace, cancellate nell’élite del calcio d’oltre Manica dopo la tragedia dell’Hillsborough del 1989, è un vero e proprio pezzo da museo.

Era infatti una parte del Drill Field, uno degli stadi più vecchi del pianeta, di proprietà del Northwich Victoria, mentre ora è stata sapientemente «riciclata» nella nuova casa dell’FC United. Dietro la gradinata c’è una sorta di pub improvvisato, anch’esso ricavato raccattando sedie e tavolini qua e là. Sui muri, a fare un po’ di colore, ci sono adesivi di vari club stranieri. «Ci vengono a trovare soprattutto appassionati tedeschi e olandesi, ma ogni tanto a studiare il modello FC United si presenta anche qualche italiano», ci segnala John. «In Inghilterra noi abbiamo una sorta di gemellaggio con quelli dell’AFC Wimbledon. Anzi, ti dico che senza di loro e la rete Supporters Direct forse l’FC United non avrebbe mai visto la luce». L’AFC Wimbledon è il club nato dalle ceneri del Wimbledon, che all’inizio del nuovo millennio venne «spostato» a 50 chilometri dalla sua sede originaria e a cui venne mutato il nome in MK Dons. Ora l’AFC è nelle prime posizioni della quarta serie e rappresenta una storia di estremo successo tra i club gestiti e di proprietà dei tifosi.
Nel Regno Unito ci sono state altre squadre, di profilo medio basso, in cui i Supporters Trust hanno giocato un ruolo importante, spesso decisivo quando si trattava di salvare società travolte dai debiti. Proprio un trust possiede il 20% delle azioni dello Swansea City, formazione che milita in Premier League ed è attualmente allenata dall’italiano Francesco Guidolin. Come ci tiene a precisare England, l’ambizione dell’FC United non è tanto quella di scalare la piramide calcistica inglese, quanto di continuare il percorso virtuoso intrapreso negli ultimi 10 anni. Come già accennato, senza Broadhurst Park sarebbe stato difficile continuare. «Non ti nascondo che quando abbiamo inaugurato lo stadio con un’amichevole contro il Benfica (protagonista di sfide epiche contro lo United di Best e Charlton negli anni Sessanta, ndr) lo scorso 29 maggio, più di uno di noi non è riuscito a trattenere le lacrime».

Intanto a novembre a Broadhurst Park sono arrivate anche le telecamere delle televisioni nazionali per trasmettere il match di primo turno di Coppa d’Inghilterra (poi perso 4-1) contro il ben più quotato Chesterfield. Anche in quella occasione i «ribelli» hanno tenuto fede ai loro principi. Contro lo spostamento della partita alle 7.45 di un lunedì sera, invece delle canoniche 3 del sabato pomeriggio, hanno esposto vari striscioni di protesta. E cantato questo coro: «When FC United go out to play it’s 3 o’clock on a Saturday, We don’t work for SkySports anymore!»