Tragedie sfiorate e poi nascoste, dati manipolati, contratti di noleggio accurati sulla carta e disattesi nella pratica. Anche se sono passati più di sette anni dalla strage ferroviaria di Viareggio, e incombe la prescrizione (scatta a dicembre in caso di ritardi nella sentenza) su reati come le lesioni gravi e gravissime, l’accurata inchiesta sul disastro ha aperto un autentico vaso di Pandora sulle condizioni di insicurezza in cui viaggiano i treni merci in Italia. Sulle carenze di Rfi, la società del gruppo Fs che gestisce la rete ferroviaria. E sulle responsabilità delle stesse Ferrovie dello Stato, la capogruppo della holding, che tutto sovrintendeva e che, dal vertice della catena di comando, dava gli ordini di servizio.
Nella requisitoria dei pm Giuseppe Amodeo e Salvatore Giannino, che si chiuderà oggi con le richieste di condanna per i 32 imputati e le 8 società imputate della morte di 32 persone e del ferimento di altre decine, si è scoperto – documenti alla mano – che appena sei mesi dopo il nefasto 29 giugno 2009 si sfiorò un nuovo disastro: “Lo stesso treno, lo stesso gpl, lo stesso percorso Trecate-Gricignano – ha spiegato il pm Giannino – e a Grosseto il treno viene visto dagli automobilisti sull’Aurelia con il carrello incandescente, che scintilla. I vigili del fuoco chiamano la Direzione movimento e la corsa viene fermata. La Polfer conferma le chiamate degli automobilisti. Il carro era stato visto da più persone con ruote infuocate e forte scintillamento. Viene rilevato che tutti gli assili sono rossi, incandescenti e con continui scintillamenti a treno fermo. E ci sono forti segni di accaloramento anche sulle cisterne. Con la temperatura dell’assile, a treno fermo, di 600 gradi”.
Di tutto questo non c’è alcunché nella banca dati di Ferrovie: “C’è scritto che su un treno carico di merce pericolosa – ha tirato le somme il pm – durante una visita tecnica veniva riscontrato un asse caldo. Il primo falso è la visita tecnica. Il secondo è che alla voce ‘coinvolgimento materiale rotabile in movimento’, la risposta segnata sul modulo in banca dati è ‘no’. Così l’evento da potenzialmente catastrofico è passato ad essere descritto in questo modo: ‘Un verificatore a treno fermo si è accorto che un asse era caldo’” Insabbiamento.
Quanto ai dispositivi di sicurezza, i due pm hanno ricordato come in aula ci siano state testimonianze del fatto che c’era un progetto per dotare i carri merci del rilevatore anti svio. Ma quel rilevatore, che solo oggi Trenitalia sta sperimentando, aveva un problema. Costava troppo, qualche migliaio di euro a carro. “Il settore merci pericolose per Trenitalia non faceva vetrina – ha osservato il pm Amodeo – non era strategico. Era l’alta velocità che consentiva apparizioni brillanti. Insomma era altro che interessava”.
Nel processo è stato ribadito che le conseguenze dell’incidente sarebbero state molto più limitate, se il carro deragliato avesse avuto il dispositivo che ne avrebbe impedito la corsa al primo accenno di deragliamento. “Ma ancora oggi si sta discutendo dell’obbligatorietà o meno di una soluzione facile ed economica – ha osservato ancora il pm Giannino – e che richiede un tempo relativamente breve per essere montata”. Invece non adottare il rilevatore anti svio sui carri è stato concausa della strage.
Con le odierne richieste dei pm, il processo iniziato il 13 novembre 2013, quasi tre anni fa, arriverà a un punto di svolta. E dai cinque giorni di requisitoria è stato confermato che per la procura lucchese le 8 società imputate sono tutte colpevoli dei reati contestati: omicidio plurimo colposo, disastro ferroviario, incendio e lesioni colpose. Quanto agli imputati in carne e ossa, anche per loro sono molto probabili richieste di condanna.