In Spagna è l’alba di un nuovo giorno. Come previsto, il bipartitismo esce dalle urne in agonia profonda, sopraffatto dalla voglia di cambiamento incarnata dai partiti emergenti, ormai consolidatisi in tutto il paese. Il Partido popular resta la prima forza politica, ma la diarchia Pp-Psoe è ai limiti del collasso: Popolari e socialisti passano da un complessivo 65% di consensi delle municipali del 2011 al 52 di domenica.

Un dato che si traduce in un’emorragia di 2,5 milioni di voti per il Pp – il partito che subisce il calo più drastico – e di 700mila per il Psoe, che resiste meglio alla bufera ed eguaglia praticamente il risultato del Pp in termini di voti. Ma la sconfitta della destra è più rilevante dal punto di vista politico, che da quello statistico: nel paese c’è una chiara maggioranza progressista, che ha rotto l’egemonia conservatrice degli ultimi quattro anni.

Il Pp pur essendo il primo partito in undici regioni, non raggiunge la maggioranza assoluta in nessuna di esse, perdendola, anzi, nelle 8 comunidades in cui l’aveva, tra le quali alcuni feudi storici come Valencia e Madrid. In molte regioni il governo del Pp sarà dunque subordinato a patti con Ciudadanos, che diventa l’ago della bilancia per le sorti popolari, almeno nelle piazze in cui il Pp ha i numeri per governare in coalizione. A conti fatti, un duro colpo che il premier che Rajoy ha commentato solo ieri pomeriggio, ammettendo «la necessità di riflettere sul calo» e rimarcando la posizione di prima forza politica, tendendo la mano a future alleanze «a favore della stabilità e della ripresa».

Un messaggio di normalità che però prelude ad una buia notte dei lunghi coltelli in vista delle politiche di novembre. Lontani dalla maggioranza assoluta anche i socialisti, che riescono ad affermarsi come prima forza solo nelle Asturie e in Extremadura (strappata ai popolari). Dati negativi anche in questo caso, ma meno amari rispetto a quelli del Pp: i socialisti – a cui i risultati assegnano un ruolo strategico fondamentale nel processo di cambiamento politico – hanno la possibilità di occupare uno spazio di potere molto più ampio rispetto al Pp, entrando in governi di coalizione con Podemos.

E se i partiti tradizionali stanno già cercando foglie di fico dietro le quali nascondere il tracollo epocale, le nuove sigle festeggiano una vittoria cristallina. Podemos – partito con un solo anno di vita – ottiene rappresentanza in tutte le tredici regioni chiamate alle urne, occupando 27 scranni nel parlamento della Comunidad de Madrid (che per un soffio resta comunque nelle mani del centrodestra), 14 in Aragón e 13 nella Comunidad Valenciana, entrambe passate sotto il controllo delle (quasi certe) coalizioni progressiste. E se la regione madrilena è sfuggita di un soffio, il colpo da biliardo è riuscito invece nella città di Madrid, dove Manuela Carmena della lista partecipata da Podemos Ahora Madrid, dopo un quarto di secolo di governo di centrodestra, dovrebbe poter diventare sindaco con l’appoggio dei socialisti (che hanno occupato 9 seggi, contro i 20 di Ahora Madrid e i 21 del Pp). A Valencia le forze progressiste mettono a segno una storica doppietta scalzando i popolari dalla regione e dal comune, dal 91 sotto il controllo dell’istrionica sindaca popolare Rita Barberá.

Gli succederà con tutta probabilità Joan Ribó, candidato di Compromis (una sorta di Podemos locale ante litteram), a cui dovrebbe affiancarsi il socialista Ximo Puig alla guida della regione. Sempre – è la significativa costante dello scenario postelettorale – in virtù di un probabile accordo tripartito Psoe-Compromis-Podemos. Il vero simbolo del cambiamento, a confermare la vocazione urbana delle nuove sinistre, passa sull’asse Madrid-Barcellona e ha volto di donna. Quello maturo e rassicurante di Manuela Carmena e quello giovane ed emozionato di Ada Colau. Dati alla mano, quasi ovunque la nuova sinistra ha raggiunto un esemplare successo che apre la strada ad un cambio ideologico e generazionale il cui impatto – in attesa di ratifica alle politiche di novembre- valica i confini nazionali.

D’altra parte, nel terremoto politico spagnolo, a tremare non sono solo le fondamenta della vecchia sinistra. Anche Ciudadanos – i rottamatori del centrodestra – hanno raggiunto buoni risultati. Il partito liberale di Albert Rivera, nato e confinato in ambito catalano fino a meno di un anno fa, ha ottenuto rappresentanza in 10 regioni, con risultati leggermente al di sotto delle aspettative ma comunque sufficienti per ritagliarsi un ruolo strategico di prim’ordine.

Disastrose le disfatte di UPyD (partito di centro divorato da Ciudadanos) e di Izquierda Unida: il primo sparisce di fatto dallo scacchiere politico, mentre Iu è ridotta quasi all’irrilevanza politica perdendo ovunque peso o addirittura rappresentanza. A Madrid la débâcle più dolorosa, dove paga carissima l’infelice scelta di correre indipendentemente da Podemos.