«Saevitia in bruta est tirocinium crudelitatis in homines», scrisse san Tommaso. Qualche secolo dopo Rosa Luxemburg dalla cella del carcere, era il 1917, commenta con grande rammarico la ferocia con cui un soldato si scaglia contro un bufalo bastonandolo a sangue.
Ma il rispetto per gli animali non è solo questione di empatia con il dolore degli altri esseri viventi: significa anche relazione tra l’uomo e l’ambiente, tra l’uomo e la sperimentazione, tra l’uomo e la sua alimentazione. La riflessione in occidente su queste tematiche è profonda e proficua ma non è monopolio della nostra cultura. Questioni alimentari sono proprie anche del mondo islamico in relazione al problema della macellazione tanto che, a prescindere dai cani esclusi dalla compassione umana, almeno sul piano teorico l’Islam dimostra nei confronti degli animali una sensibilità e una attenzione giuridica molto simile se non superiore a quella delle altre civiltà mediterranee. Già dal XVI sec., ad esempio, i viaggiatori europei si stupivano degli ospedali per bestie dei Turchi e dei voluminosi trattati dedicati alla classificazione degli animali.
L’argomento è ampio: questo articolo non pretende di essere esaustivo, costituisce piuttosto un pretesto per decifrare nuovi, e a tratti imprevedibili, parallelismi in un mondo sempre più globale. Ne parliamo con Marianella Piratti, ricercatrice di Diritto internazionale all’università Ca’ Foscari di Venezia, esperta di diritto e istituzioni degli Stati di tradizione islamica, tra gli autori del volume a cura di M. Gazzola e M. Turchetto Per gli animali è sempre Treblinka (Mimesis).

Esiste una dicotomia tra uomo e natura nel mondo islamico , ossia una visione antropocentrica della realtà, come avviene in occidente?
Se affrontiamo la questione dalla prospettiva della dottrina islamica, possiamo affermare che una dicotomia uomo-natura non è data in termini assoluti. La concezione islamica dell’universo, che è costruita a partire dalle fonti scritturali di riferimento, ossia il Corano e la Sunna del Profeta Muhammad, è olistica, in cui non è posta tracciare una demarcazione netta tra essere umano e mondo naturale: ogni elemento del creato partecipa dello stesso ordine cosmico posto in essere da Dio.
In tale ordine, all’essere umano è però affidato un ruolo particolare: il ruolo di khalifa (Corano, II, 30-31; XXXIII, 72; XVII, 70), termine da intendersi come vicereggente, vicario. Alla relazione prima tra Dio e il creato, segue dunque quella tra l’essere umano e il creato. Quest’ultima non costituisce tuttavia un rapporto che potremmo definire di proprietà, in quanto il creato non può appartenere che a Dio.

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Se Dio ha assoggettato all’essere umano il mondo naturale (Corano, XXXI, 20; XIV, 32-34) tale posizione di preminenza deve manifestarsi secondo i canoni che attengono al ruolo di khalifa: l’essere umano non può disporre degli elementi del creato a suo piacimento, ma vi si deve rapportare secondo gli scopi fissati dal Creatore, ossia preservandoli e avendone cura. Nell’insieme, possiamo perciò parlare di una visione teocentrica della realtà nella quale all’essere umano sono attribuiti tanto dei diritti, quanto delle precise responsabilità nei confronti del mondo naturale.

L’attenzione e la sensibilità per i diritti del mondo animale sono particolarmente cresciuti negli ultimi decenni in occidente. Parlare di islam è impegnativo e, a tratti, può essere fuorviante per le molteplici anime di questa religione…Tuttavia, possiamo cercare di capire quale sia il trattamento degli animali nella cultura islamica?
Il mondo islamico, nel quadro più sopra delineato, ha dedicato grande attenzione agli animali e ciò per un doppio ordine di ragioni.
In primo luogo, se come per gli altri elementi del creato (Corano, XVI, 65-69), gli esseri umani se ne possono servire a vari scopi (Corano, XXXVI, 71-73; XVI, 5-8), ad essi è riservato uno statuto particolare in quanto il Libro sacro attribuisce loro un rango più prossimo a quello degli esseri umani (Corano, VI, 38).

In secondo luogo, le prescrizioni che l’Islam pone in merito alla liceità o meno della carne animale destinata a scopo alimentare, ha portato a un lavoro di dettagliata classificazione degli animali le cui prime testimonianze risalgono al IX secolo. Dobbiamo qui cogliere che tra i criteri classificatori emerge quello della prossimità che le diverse comunità animali hanno con il genere umano, avvalorando, in tal caso, la legittimazione di un ordine sociale antropocentrico che riposa sull’attribuzione del ruolo di khalifa. Quest’impostazione, nell’ambito della concezione olistica propria di questa tradizione, non conduce mai a una reificazione assoluta dell’animale. Le bestie, tutte, sulla scorta in particolare della tradizione del Profeta, devono essere trattate con benevolenza e non dev’essere inflitta loro nessuna sofferenza gratuita.
Di qui si apre il tema del rito richiesto per l’uccisione dell’animale a scopo alimentare. L’osservanza delle norme che lo presiedono, oltre ad avere la funzione di renderne lecita la carne, implica secondo la tradizionale dottrina islamica che l’atto di infliggere la morte sia il più possibile rapido e, conseguentemente, meno grave la sofferenza che a esso si accompagna.

Quali sono, se ci esistono, i punti di contatto tra Islam ed occidente sulla questione animale?
Sotto un profilo teorico, possiamo individuare una convergenza nell’attenzione verso il benessere degli animali, attenzione che in entrambi i campi può tradursi in scelte alimentari di tipo vegetariano. In termini generali, Seyyed Hossein Nasr, uno dei primi e tra i più autorevoli studiosi che nel XX secolo ha ripreso il patrimonio della tradizione islamica sul rapporto col mondo naturale – peraltro molto critico sul modello di sviluppo impostosi in Occidente e imposto dall’Occidente – , ritiene che nella tradizione cristiana, il pensiero che maggiormente in materia ambientale si avvicina alla concezione islamica, sia quello di san Francesco di Assisi. E dato che la riflessione si svolge su un piano giuridico-religioso, non possiamo non notare che l’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco si apre con una citazione dal Cantico delle Creature da cui prende il nome e che al Santo di Assisi che «si sentiva chiamato a prendersi cura di tutto ciò che esiste» e che rinunciava «a fare della realtà un mero oggetto di uso e di dominio» (par. 11) sono dedicati i paragrafi 10-12 dell’introduzione.
Più nello specifico, se numerosi sono i passaggi che a vario titolo l’Enciclica dedica al mondo animale, quale nota conclusiva ne possiamo richiamare uno tratto dal paragrafo 92, secondo cui «la stessa miseria che porta a maltrattare un animale non tarda a manifestarsi nella relazione con le altre persone». A uno sguardo d’insieme, dunque, emerge intorno al rapporto uomo / animale una relativa omogeneità tra le due culture araba e cristiana, setacciate nel corso degli ultimi secoli per far emergere una realtà sociale esattamente opposta.
Realtà che si nutre di vivisezione e allevamenti intensivi per i palati niente affatto raffinati di un mondo addestrato a guadare dalla crudeltà contro gli animali a quella contro i suoi simili.