Nel prossimo futuro non ci saranno soldati cyborg sui campi di battaglia. Produrre Terminator o Robocop è infatti per il momento impossibile. Troppi gli imprevisti, alte le possibilità di insuccesso. La mente umana non è ancora riproducibile da un software. Quel che negli Stati Uniti, Russia e Cina stanno ipotizzando sono però soldati che restano svegli per una settimana, senza che il corpo ne risenta e perda in «efficienza». Allo stesso tempo, un progetto congiunto tra le due sponde dell’Atlantico ha avuto la bizzarra idea di provocare artificialmente la scomparsa della notte, ipotizzando un sistema di specchi nell’atmosfera per deviare la luce solare e illuminare così a giorno regioni intere del pianeta.

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Due progetti tuttavia fantasiosi. Il secondo infatti è stato abbandonato per le proteste di ambientalisti e scienziati della natura. Il primo necessita di farmaci e droghe che richiedono ancora anni di perfezionamento per evitare collassi nervosi e disfunzioni del corpo. Per il momento, tuttavia, ci sono prigioni militari e non (Guantanamo è una di queste) dove i detenuti sono segregati in celle continuamente illuminate e sottoposti al controllo di psicologi, neurologi e neuropsichiatri per capire come reagisce il corpo umano a una condizione di giorno perpetuo. Una sottile forma di tortura per ridurre sensibilmente la resistenza di chi vi è sottoposto e capire dunque il modo per manipolare emozioni, decisioni, comportamenti dei singoli. Il soldato dell’avvenire sarà flessibile e duttile come la creta per essere plasmato ad operare in situazioni che non prevedano dubbi, libero arbitrio, autonomia individuale, pronto cioè a obbedire a qualsiasi comando.

L’obbedienza del Golem

Sono solo alcuni degli esempi di una tendenza a cancellare il confine tra veglia e sonno citati da Jonathan Crary nel saggio 24/7. Il capitalismo all’assalto del sonno pubblicato da Einaudi che inaugura la nuova collana I Maverick (pp. 134, euro 18). La globalizzazione, afferma il docente statunitense di arte moderna, sta prefigurando una società organizzata per produrre e consumare 24 ore al giorno per 7 giorni la settimana, cioè una realtà a ciclo continua dove il sonno e il riposo sono ostacoli all’accumulo di ricchezza. Con malizia, infatti, l’autore ricorda che da sempre i risultati conseguiti nelle ricerca scientifica condotte da militari sono state poi riversate nella vita civile. E se questo è facile esemplificarlo con l’energia atomica, i microprocessori, i nuovi materiali resistenti, meno evidente, ma pur sempre certo, è come la ricerca militare sul funzionamento del cervello sia stata poi riconvertita dall’industria farmaceutica per produrre nuovi farmaci o sostanza psicoattive. Crary non ha inoltre timore ad affermare che dietro tutti i tentativi di aggirare il sonno come bisogno rigenerativo del corpo umano ci sia l’obiettivo di un umano addomesticato alle necessità del capitalismo. Dunque, non è l’ombra di Terminator quella che si staglia dietro questi progetti, bensì quella del Golem, l’inquietante figura che nella Praga di inizio Novecento eseguiva con diligenza e ferocia la sua missione purificatrice.

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24/7 non è però una ricercata apologia del sonno inteso come il tempo sottratto al capitale. Crary è consapevole che il confine tra tempo di lavoro e tempo di vita è stato ormai cancellato e che il riposo, dunque il sonno, è ormai ridotto a una funzione meccanica di recupero delle energie. Anche perché una volta sveglio il singolo è avvolto, risucchiato in un flusso ininterrotto di mail, sms, immagini, informazioni. La globalizzazione, annota Crary, stabilisce cioè il dominio indiscusso di un eterno presente, dove il passato è un ammasso di rovine dal quale tenersi a distanza e il futuro è avvolto da una nebbia dalla quale tenersi, anche qui, a debita distanza. Il mondo del 24/7 è cioè una realtà dove il tempo non prevede nessun divenire.

L’esemplificazione dell’eterno presente è ovviamente la Rete, che annulla appunto le differenze temporali e rende insignificanti quelle spaziali. Il giorno di Roma, o Milano, è la notte di Los Angeles o di Pechino, ma quel che viene deciso in un luogo alla luce del sole è inviato come ordine a chi ha organizzato il flusso lavorativo per eseguirlo in piena notte.

La società del controllo

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Il saggio è una incalzante rassegna di come il capitalismo, nella sua forma neoliberale, sia riuscito, per aggirare l’ostacolo costituito dai limiti imposti dal lavoro vivo – la tripartizione della giornata, tra otto ore di lavoro, 8 ore di tempo libero e le restanti otto ore di sonno – abbia appunto a proiettare sul pianeta la sua pretesa di cancellare o annullare differenze temporali e spaziali. Per organizzare la resistenza, aggiunge però Crary, non serve certo invocare il tempo della natura per contrapporlo a quello sociale. È infatti caratteristica dell’umano piegare la natura ai suoi fini. Con un movimento teorico inaspettato, visto che viene da chi si occupa prevalentemente di storia dell’arte, Crary invita a misurarsi con le analisi di Marx e delle teorie sulla vita quotidiana di come Henry Lefebvre. E se l’autore del Capitale ha messo al centro della sua critica all’economia politica il tempo – quello del lavoro -, Lefebvre negli anni Sessanta e Settanta del Novecento stigmatizzava le tesi di chi considerava il tempo libero e il sonno come tempo sottratto al capitale. Anche fuori le mura della fabbrica o dell’ufficio, il tempo è ormai colonizzato dal capitale. La critica al consumismo ha proprio l’elementare constatazione che la catena del valore non riguarda solo la produzione, bensì anche la circolazione e il consumo di merci. Da qui la centralità sulla società dello spettacolo e di quel passaggio dalla società disciplinare a quella del controllo che autori come Guy Debord o Gilles Deleuze hanno ripetutamente messo al centro della scena pubblica. Già perché anche il sonno aveva la ambivalente funzione di riposo, ma anche come un feticcio da usare come fattore che disciplina la vita al lavoro.

La superficie globale

24/7 è una piccola miniera di preziose pagine quando l’autore passa in rassegna il ruolo svolto dai materiali audiovisivi diffusi a livello planetario – film, musica, ma anche videoclip – grazie alla Rete come un sofisticato sistema di sincronizzazione delle coscienze e di annullamento della memoria che ha come primo, dirimente e imprevisto effetto collaterale di caduta tendenziale dell’innovazione e di cancellazione delle identità locali. Quella di Crary è però una non sempre convincente visione della globalizzazione come una superficie liscia e senza alterità. E segnata anche dalla convinzione che tutto ciò abbia a che fare con la possibilità di un consumo just in time e h.24.

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Il regime h 24, come d’altronde di deduce anche dalle pagine che l’autore dedica all’analisi critica di un film – La Jetée di Chris Marker – e di un quadro – Il cotonificio di Arkwright di Joseph Wright of Derby –, vuol certo rendere omogeneo il tempo a livello planetario per sviluppare un ciclo integrato tra produzione, circolazione e consumo. Nel primo caso, significa forme radicali e tuttavia sofisticate di processi lavorativi diffusi su tutto il pianeta. Sulla logistica – movimento di merci e gestione delle materie prime – non c’è molto da dire, basta solo ricordare che i trasporti su strada, ferrovia, su acqua e nei cieli sono organizzati per garantire i movimenti delle merci come un flusso continuo. Sui consumi, poco da aggiungere al fatto che il commercio e elettronico e la presenza di centri commerciali aperti 24 ore al giorno per sette giorni la settimana sono ormai la regola in molti paesi.

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E tuttavia non siamo in presenza di un moloch inattaccabile e impermeabile. Le strategie della «economia dell’attenzione» e i dispositivi giuridici per garantire l’innovazione e la precarietà del lavoro vivo, testimoniano che non tutto funziona così linearmente e che quella superficie liscia prospettata da Crary è invece piena e costellata da alterità. Perché il diritto all’ozio e a una vita affrancata dalla necessità continua ad essere uno dei diritti che nessuna colonizzazione della vita sociale riesce ad addomesticare.