Rasoi ha soli 35 anni, ma più della metà della sua vita l’ha passata scappando.

Cominciò 18 anni fa quando, poco più che diciassettenne, scappò da Malistan, il villaggio afghano nel quale è nato, per paura dei talebani. Fuggì in Iran, a Teheran, dove per anni ha vissuto di espedienti: addetto alle pulizie, muratore, quello che capitava pur di sopravvivere.

Non certo una situazione stabile né tanto meno sicura. «Con gli iraniani non c’era un buon feeling», racconta. Una vita di stenti, resa felice ma anche più difficile prima dal matrimonio e poi dalla nascita dei suoi due bambini. La mancanza di un lavoro e la difficoltà per i bambini ad andare a scuola lo hanno spinto a lasciare anche l’Iran e tentare di arrivare in Europa.
Prima la Turchia, poi la Grecia fino a d Atene, dove ha finito i soldi. Rasoi e la sua famiglia adesso sono all’Olimpiako Kentro Hokey Elleniko, il vecchio stadio di hockey situato alla periferia di Atene e dalla fine delle Olimpiadi rimasto abbandonato fino a quando il governo ha deciso di trasformarlo in un centro di accoglienza per rifugiati.

È una struttura adibita principalmente all’accoglienza di uomini soli e può ospitare al suo interno fino a 500 persone, che possono diventare 900 grazie ai due tendoni montati dall’Unhcr all’esterno della struttura Nei giorni scorsi, quando lo sciopero degli agricoltori ha bloccato le strade del paese impedendo ai pullman carichi di rifugiati di raggiungere il confine con la Macedonia, all’Olimpiako hanno trovato posto anche 1.300 persone.

In questi giorni di relativa calma nel vecchio stadio si trovano invece solo una novantina di persone.
Si tratta per lo più di marocchini, somali, pachistani e tunisini, nazionalità per le quali la frontiera con la Macedonia è e resterà chiusa per sempre in quanto considerati migranti economici. «Il nostro è un centro aperto, le persone possono entrare uscire liberamente» spiega Kristina, la giovane dipendente del ministero dell’Immigrazione responsabile della struttura. «Oltre a un posto dove dormire, qui ricevono un’assistenza di base, prodotti per l’igiene, vestiti e un medico presente 24 ore su 24. Qualunque cosa possa essere loro utile per continuare il loro viaggio».

Al primo piano c’è un’area attrezzata per i bambini. I muri sono tappezzati dei disegni dei piccoli rifugiati che qui spesso hanno trovato la prima oasi di pace e sicurezza dopo settimane di fuga. Tratti color pastello che danno voce a speranze difficili da imbavagliare. Basta solo guardare.

Una bambina che non si firma si è disegnata a cavallo di un uccello mentre vola via libera. «Very nice» ha scritto in un inglese incerto quanto la sua callgrafia. «I am Asal, I come from Iran» è scritto invece su un disegno che raffigura una casa con sopra il tetto una casetta che potrebbe essere un comignolo, le tendine rosse alla finestra e la porta verde.
Alisha invece viene dal Pakistan e il 30 dicembre del 2015 ha disegnato un bellissimo uccello giallo con una corona sulla testa. E una dedica: «To Nelly». Nei disegni abbondano le colombe, ma c’è anche l’immagine di una casa che sembra inclinarsi pericolosamente sotto lo sguardo esterrefatto di un bambino.

Vite sospese, che però hanno voglia di ricominciare a camminare. Come quella di Maria, piccola siriana di appena 21 giorni. Non appena Rim, sua madre, ha messo piede a terra dopo aver attraversato l’Egeo su un barcone, è stata subito trasferita in ospedale per il parto.
Adesso mamma e figlia si trovano a Elleonas, il secondo centro di accoglienza aperto dal ministero per l’Immigrazione greco ad Atene.

Qui trovano posto principalmente le famiglie, ma anche situazioni che necessitano di particolare protezione come persone disabili e donne sole. Niente tende: il campo, che può ospitare fino a 700 rifugiati è composto da container nei quali trovano posto fino a otto persone. C’è un ambulatorio medico, uno dentistico e numerosi operatori in grado di fornire assistenza legale.

La marina militare assicura tre pasti caldi al giorno. Adesso però il governo ha deciso di ampliarlo perché la chiusura della frontiera con la Macedonia – che qui tutti, compresi i funzionari del ministero, danno per scontata – farà precipitare anche Atene nell’emergenza. Per questo anziché container all’inizio verranno allestite tende in grado di ospitare altri mille rifugiati. I lavori dovranno essere completati entro la fine di mese. Presto perché, ricordano a Elleonas, non c’è tempo da perdere.