INon ci sarà divieto totale di aborto a Varsavia. Il Sejm, la camera bassa del parlamento polacco, ha bocciato un disegno di legge proposto dal movimento civile teo-con Ordo Iuris per mettere al bando le interruzioni volontarie di gravidanza senza se e senza ma. Già due giorni fa  la maggioranza della destra populista di Diritto e giustizia (PiS) aveva chiesto di ritirare il provvedimento che era finito sul tavolo di una commissione del Senat, la camera alta polacca.

«Le manifestazioni da parte delle donne ci hanno spinto a riflettere dandoci anche una lezione di umiltà», ha dichiarato il ministro  dell’Istruzione  Jaroslaw Gowin, smettendo così le esternazioni del collega degli Esteri Witold Waszczykowski che aveva invece derubricato le proteste a una forma di «happenning». A dire vero, più che di un bagno di umiltà, si tratta di un mero calcolo politico per la dirigenza del PiS, disposta a tutto per prevenire un’emorragia di consensi, ora che il governo procede a ritmo spedito con il suo piano di “orbanizacja” del paese.

È una piccola ma grande vittoria per le migliaia di donne vestite a lutto che hanno inondato le strade dei maggiori centri della Polonia nelle ultime due settimane. Le proteste culminate nel «lunedì nero» segnano invece la sconfitta degli iniziatori della legge, e più in generale, della politica intransigente del governo nei palazzi del potere. Ma il dietrofront del Sejm è anche la testimonianza della débâcle ideologica di Ordo Iuris e della Conferenza episcopale polacca. A nulla è servito lo zelo pro-life nelle zone rurali del paese dei «berretti di mohair», seguaci dell’emittente xenofoba Radio Maryja del pastore redentorista Tadeusz Rydzyk.

La legge del 1993, frutto di un compromesso al ribasso dopo la discesa in campo della Chiesa negli anni della transizione al capitalismo, non sarà dunque stracciata. E per questo che resterà difficile vedere tutto rosa per quelli che sono scesi in piazza ammantandosi di nero per dire «nie» al divieto totale. Gli aborti  resteranno infatti punibili con un massimo di 8 anni di carcere per i medici che eseguono l’intervento. Non è prevista invece nessuna pena per le donne  che decidono di sottoporsi all’operazione. Su quest’ultimo punto, nemmeno la gerarchia ecclesiastica locale sembra disposta a criminalizzare le donne.

L’attuale legislazione consente di eseguire l’intervento soltanto in tre casi: quando la gravidanza mette a repentaglio  la salute della madre, quando il feto è danneggiato, e   in caso di stupro. L’ondata di indignazione popolare del «Black Monday» dovrebbe anche distogliere il PiS dall’idea di presentare un proprio disegno di legge sul modello brasiliano che eliminirebbe la possibilità di eseguire l’aborto in caso di malformazioni del feto.

Con il mantenimento dello status quo il turismo abortivo verso Ovest continuerà ad andare a gonfie vele. Un vero e proprio «soggiorno della speranza», spesso in direzione Praga e Bratislava, dove le interruzioni volontarie di gravidanza non sono rimborsate dai servizi sanitari nazionali.