Non è che l’inizio. Lo scandalo Volkswagen, scoppiato negli Usa, ha attraversato l’Atlantico: ora promette di durare a lungo, e di allargarsi sempre più. Le autovetture «truccate», come prevedibile, non sono solo sul mercato americano, ma in tutto il mondo. E il loro numero è gigantesco: 11 milioni. Tutte con motore diesel (teoricamente «pulito») sui quali l’azienda tedesca ha montato un software in grado di falsificare i dati sulle emissioni, facendole risultare conformi alle leggi anti-inquinamento soltanto durante i controlli: in realtà, sono superiori ai limiti consentiti (fino a 40 volte se ci si riferisce alle regole Usa).

Per ritirare dal mercato i veicoli incriminati, e possibilmente rimetterli a norma, l’impresa ha accantonato ieri 6,5 miliardi di euro, una cifra pari alla metà dei profitti dello scorso anno, che fu particolarmente positivo. È molto probabile, tuttavia, che lo scandalo sia destinato a costare molto più caro alla casa di Wolfsburg: oltre alla quasi sicura multa che commineranno le autorità Usa, che potrebbe ammontare a 18 milioni di dollari, vanno messe nel conto un’infinità di cause di risarcimento, da parte di singoli cittadini – per esempio chi soffre di asma – o di amministrazioni pubbliche, tedesche e non solo. Senza dimenticare le drammatiche perdite sui mercati azionari: alla borsa di Francoforte il titolo Volkswagen ieri è caduto del 19,8%, facendo scendere l’indice Dax del 3,6%. Da lunedì l’azienda ha visto sfumare il 34% del proprio valore borsistico: un incubo. E la settimana è ancora lunga.

Sul fronte politico, dopo giorni di letargo qualcosa si muove. La cancelliera Angela Merkel, durante la conferenza stampa dedicata alla visita a Berlino del premier finlandese, ha assicurato che il suo governo si sta dando da fare «per la trasparenza», citando i provvedimenti assunti dal ministro dei trasporti Alexander Dobrindt (della bavarese Csu). Il principale: l’invio di una commissione d’inchiesta nella sede centrale dell’azienda, a Wolfsburg. Non proprio una reazione energica, va detto. Segno, forse, di imbarazzo e persino di preoccupazione: in Germania c’è chi pensa, ad esempio gli ambientalisti, che il governo sapesse dei trucchi della Volkswagen, ma non abbia mosso un dito. Un’ipotesi rilanciata ieri pomeriggio dal sito del quotidiano conservatore Die Welt, di proprietà dello stesso gruppo editoriale della scandalistica Bild.

L’esecutivo è rimasto in silenzio, finora, sulle possibili responsabilità del numero uno dell’azienda, il potente e ricchissimo Martin Winterkorn, che ieri ha diffuso un videomessaggio di scuse «a clienti e opinione pubblica», nel quale afferma di voler restare al proprio posto. Un’ipotesi che appare sgradita ai vertici della Bassa Sassonia, il Land che detiene il 20% della proprietà della casa automobilistica: il governatore socialdemocratico Stephan Weil si è mostrato molto più critico del governo federale nei confronti di Winterkorn, facendo capire di aspettarsi le sue dimissioni. La prima occasione in cui presentarle potrebbe essere oggi alla riunione straordinaria della presidenza del Consiglio di sorveglianza (Aufsichtsrat) dell’azienda, organismo nel quale siedono sia il governatore della Bassa Sassonia, sia i rappresentanti sindacali, che pare non intendano proteggere l’amministratore delegato. Dimissioni che si profilano all’orizzonte come una scelta obbligata: sui media tedeschi circolano già i nomi dei possibili sostituti, segnale non incoraggiante per il destino di Winterkorn.

A rendere ancora più difficile la permanenza dell’attuale numero uno alla guida della principale casa automobilistica tedesca – nei primi 6 mesi di quest’anno leader di vendite a livello mondiale, davanti alla Toyota – ci sono anche le reazioni politiche in Europa. Ieri si sono fatti sentire la ministra dell’ambiente francese, Ségolène Royale, che ha annunciato «un’inchiesta approfondita» nel suo Paese, e il collega delle finanze Michel Sapin, che ritiene necessaria invece «un’inchiesta europea». Il ministro dell’ambiente Gian Luca Galletti ha ipotizzato uno stop alle vendite in Italia, se si dovesse scoprire che anche nel nostro Paese sono state messe in commercio vetture manipolate. Da Bruxelles giungono per ora dichiarazioni misurate: «È prematuro dire se serviranno misure a livello comunitario, ma stiamo esaminando la questione molto sul serio», ha affermato ieri la portavoce della Commissione Ue per l’industria Lucia Caudet.