La maggioranza della «generazione voucher» è composta da 400 mila persone occupate in alberghi, ristoranti o nel commercio. Nel 2015 il 26% aveva un contratto di lavoro a tempo indeterminato e full time; il 28% a tempo indeterminato ma part-time; il 46% era giovane e occupato con un contratto a termine. Il 29% del milione e 380 mila dei «voucheristi» censiti dall’ Inps e Veneto-Lavoro in una ricerca sul «lavoro accessorio», era in questa condizione nel 2015. La ricerca, presentata ieri a Venezia, dimostra come il «lavoro a scontrino» sia un altro aspetto del lavoro povero dilagante dall’inizio della crisi. Si parla di guadagni da 500 euro netti nell’85% dei casi, pari a un milione di persone. Solo 207 mila «voucheristi» hanno guadagnato più di mille euro netti. Tra il 2008-2015 in Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, si è venduto il 43% dei 277 milioni di voucher da 10 euro pari a 2,5 milioni voucheristi.

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Il ticket da 7 euro e 50 netti all’ora (più 1,30 di contributi Inps, 70 centesimi di assicurazione Inail e 50 di servizi) è stato usato anche dagli «ex occupati», età media 37 anni, in stragrande maggioranza donne (il 57%). Alta la percentuale di chi ha percepito un sussidio di disoccupazione (Aspi, MiniAspi o Naspi): 252 mila persone (il 18% del totale). Anche in questo caso l’età media è di 37 anni. Quest’ultimo dato non va trascurato visto che, come già attestato da Istat e Inps, i più colpiti da disoccupazione e inattività oggi in Italia sono i lavoratori che si trovano nella fascia d’età compresa tra i 34 e i 49 anni, considerata la più «produttiva» nella vita lavorativa di una persona. Il 14% dei voucheristi, meno di 200 mila persone, ha in media 20 anni e non è alla prima occupazione. Secondo l’Inps, il 30% ha già percepito voucher negli anni scorsi. La presenza femminile sfiora il 60%. Nel «mondo voucher» si rispecchia anche questa costante del mercato del lavoro italiano. Nella classifica seguono i pensionati (all’8%), tre su quattro sono pensionati di vecchiaia, molti dei quali sono occupati in agricoltura. Un’altra quota dell’8% è impiegata nei lavori domestici, nel lavoro autonomo e tra i dipendenti pubblici.

Nel 2015 sono stati venduti 115 milioni di voucher. Nel 2010 erano meno di 10 milioni. Questa crescita abnorme ha generato compensi da 860 milioni di euro, pari a circa 45 mila stipendi da lavoratori a tempo pieno. L’importo dei contributi a fini previdenziali è pari a 150 milioni di euro. Il numero dei voucher venduti l’anno scorso è stato quasi di 88 milioni. Questo significa che i ticket sono stati usati solo in parte nello stesso anno. Gli altri lo sono stati successivamente. Tra il 2013 e il 2015 i committenti sono raddoppiati, mentre i prestatori sono aumentati del 137%. Nel 2015 sono state registrate 473 mila aziende committenti che hanno sviluppato oltre un milione e 700 mila prestazioni. Un «voucherista» può prestare lavoro occasionale per più di un datore di lavoro, anche se nell’82% dei casi i lavoratori hanno un solo committente.

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Intervista a Chiara Saraceno: «Un reddito di base contro i ricatti del lavoro povero»

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Il voucher viene usato nell’industria e nel terziario con dipendenti: circa 250 mila aziende (su 473 mila). Le aziende alberghiere e turistiche sono 75 mila, artigiane e commercianti sono 65 mila. Notevole è la presenza dell’informatica con 20 mila aziende. In agricoltura le aziende interessate al lavoro accessorio sono 16 mila. L’Inps sta proseguendo la classificazione di altri 145 mila soggetti, persone fisiche e giuridiche: il 31% dei committenti che impiegano solo il 19% dei voucher. «Bisogna intervenire in modo draconiano, drastico, nel reprimere forme fraudolente dell’utilizzo dei voucher – ha detto il presidente dell’Inps Tito Boeri – La sensazione è che possa essere utilizzato un solo voucher per retribuire in realtà più di un’ora di lavoro».

Boeri ha ipotizzato una riforma per ridurre i campi di applicazione: «L’uso in agricoltura o nel lavoro domestico va bene, mentre in ambiti ad alta produttività appare meno necessario». Il rapporto non affronta il tasso di emersione dal lavoro nero, né il tasso di sostituzione con altre forme di lavoro, vale a dire il modo in cui il voucher contribuisce ad aumentare il lavoro nero e l’evasione o l’elusione contributiva. In compenso, analizza l’intensità dell’utilizzo del lavoro-scontrino e dimostra come da lavoro occasionale il voucher sia diventato un genere in sé e, al di là dello scontrino, accomuni i «working poors» autonomi e dipendenti, giovani e anziani, disoccupati o titolari di sussidi. Il voucher è la forma specifica di una condizione universale: il junk-work, il lavoro spazzatura.