Il mese scorso ha fatto molto parlare a Hollywood l’acquisto della Dick Clark Productions da parte del colosso cinese Dalian Wanda. Dck Clark è la storica company televisiva che produce la diretta della premiazione dei Globes (della cui giuria fa parte anche chi scrive, ndr.) oltre a quella dei Country music awards, gli American Music Awards e i premi Billboard. Il prezzo d’acquisto – un miliardo di dollari – ha fatto parecchio scalpore in città essendo nettamente al di sopra della valutazione stimata dal mercato. Ma il vero motivo delle polemiche attorno all’affare è la nazionalità dell’acquirente. Un gruppo di parlamentari è giunto a firmare una lettera chiedendo l’istituzione di commissione di inchiesta per prendere in «attento esame» le «implicazioni culturali e di sicurezza nazionale» di questa ed altre acquisizioni straniere –soprattutto cinesi – a Hollywood.
LA CAMPAGNA ACQUISTI
Nella capitale del cinema l’influsso di capitale cinese è un fenomeno in crescita e da qualche anno Wanda in particolare è protagonista di una aggressive campagna acquisti. Il conglomerato nato negli anni 90 come holding sancita dal governo ha inizialmente costruito un impero su complessi immobiliari e centri commerciali. Riproducendo il modello americano, gli shopping mall Wanda erano ancorati da grande distribuzione (tipo WalMart) e comprendevano complessi multisala. E l’attenzione del gruppo si è presto focalizzata sui cinema, dapprima in Cina e in seguito sull’acquisizione di catene straniere: la Hoyts in Australia e la AMC che il 15 novembre è appena diventata la prima catena di esibizione americana con l’acquisto della concorrente Carmike Cinemas. Attraverso la AMC inoltre Wanda ha appena ottenuto il nulla osta dell’authority europea (giunto il 30 novembre) per finalizzare l’acquisizione della Odeon che controlla centinaia di sale in Inghilterra ed Irlanda ed ha la partecipazione maggioritaria nella UCI che gestisce centinaia di sale in Italia, Germania, Austria Portogallo e Brasile. Se si sommano gli oltre 2500 schermi che possiede in Cina, il conglomerato è ora il maggiore proprietario di cinema al mondo.
L’INDUSTRIA PILASTRO
Dalian Wanda rimane un colosso immobiliare e finanziario ma è l’espansione di quello che la società definisce il «cultural industry group» ad essere prioritaria, un progetto che va di pari passo con quello del governo cinese che ha decretato la cultura una «industria pilastro» per incrementare l’influenza mondiale della Cina oltre la sfera politica a commerciale. Il potenziamento del comparto culturale intrapreso da Wanda a partire soprattutto dal 2010, comprende l’acquisto di una collezione d’arte cinese valutata 10 miliardi di Yuan e la partecipazione in parchi a tema e imprese turistiche. Nello sport Wanda promuove il circuito di triatlon Ironman, ha acquistato una quota del 20% dell’Atletico Madrid e si è mossa aggressivamente nel lucroso mondo dei diritti sportivi acquisendo la Infront, potente broker di diritti sportivi TV (compreso il calcio di bundesliga tedesca e serie A italiana) guidata da Philip Blatter, figlio del famigerato potentato FIFA Joseph Blatter.
WANG JIANLIN
Una lunga marcia di espansione sotto la guida di Wang Jianlin, l’amministratore di Dalian Wanda noto come «l’uomo più ricco della Cina». Assicurato il controllo dell’esibizione (le sale) Wang ha volto l’attenzione a distribuzione e produzione e quindi Hollywood. Lo scorso settembre la sua società ha stretto un accordo di coproduzione e distribuzione con la Sony Pictures. A gennaio ha speso tre miliardi e mezzo di dollari per la Legendary Pictures, la società che ha prodotto kolossal come Jurassic World e Il Cavaliere Oscuro. L’ultima acquisizione, della Dick Clark, costituisce ora un entrata nel mercato degli eventi televisivi «Live». Wanda non è l’unica società cinese ad avere interessi nella capitale del cinema, altre comprendono Tencent, Alibaba, Huayi e Hony. Ma la rapidità con la quale sta ammassando proprietà ne ha fatto il simbolo dell’«invasione cinese». Oggi oltre a tutte le altre attività Wanda sta costruendo un complesso immobiliare ancorato da un albergo accanto al Beverly Hilton su Wilshire Bouelvard, un trofeo nel cuore di Beverly Hills, progettato dall’archistar Richard Meier.
Dopo l’affare Dick Clark numerosi editoriali ed opinionisti hanno nuovamente denunciato le mire egemoniche di Pechino sull’industria culturale di Hollywood. L’ultimo politico ad interessarsi del fenomeno è stato il senatore di New York e nuovo speaker del gruppo democratico al senato, Chuck Shumer che in una lettera da poco scritta al segretario per il commercio Michael Froman si è detto «preoccupato che le acquisizioni riflettano gli obbiettivi strategici del governo cinese». In particolare Schumer sottolinea come le aziende cinesi – spesso sostenute da fondi di investimento governativi– siano libere di acquisitare quote maggioritarie in controparti americane mentre il governo di Pechino rende impossibile il contrario imponendo stretti limiti agli investimenti straniero. Fra gli studios che attualmente hanno joint be venture cinesi ci sono Warner Bros, Dreamworks e Disney ma per legge ogni consociata in Cina deve avere una partecipazione maggioritaria di una società locale.
HOLLYWOOD PECHINO
In realtà i rapporti fra Hollywood e Pechino sono definiti dall’emergere del mercato del cinema cinese come quello destinato, probabilmente entro l’anno prossimo, a superare quello americano e attestarsi come il maggiore al mondo con $10,7 miliardi di fatturato annuo, Non a caso da qualche anno gli utili cinesi sono diventati il sacro graal ai piani alti degli studios. A fronte di un mercato globale del cinema che in gran parte ristagna, la Cina con la crescente smisurata classe media in cerca di svago offre il miraggio di nuovi illimitati guadagni.
La crescita vertiginosa è definita da numeri del tutto «cinesi»: nel 2012 la Cina ha aperto 10 cinema  al giorno e le sale sono attualmente oltre 28000. Il «box office» nel regno di mezzo è incrementato del 30% nel solo 2014 e ad un tasso perfino superiore nel primo semestre dello scorso anno. Ormai è difficile, soprattutto per i kolossal dai budget oltre i cento milioni di dollari, pensare di recuperare le spese senza un buon risultato in Cina, territorio che da solo può risollevare di un film andato male in Europa ed USA (nel 2015 Furious 7 ha fatturato $40 milioni in più in Cina che negli Stati uniti). Spiega il virtuale pellegrinaggio di produttori in Cina; da anni Jeffrey Katzemberg della Dreamworks, Bob Iger della Disney ed altri ed altri profeti della cultura «monetizzabile» predicano il vangelo del mercato cinese in convegni, festival e regolari viaggi d’affari in Cina.
È vero altresì che il mercato cinese non è «normale». I censori governativi non vedono di buon occhio eccessivo sesso, violenza (o fantasmi!). Regole che bloccano film di successo ritenuti troppo «spinti» come è accaduto quest’anno con Deadpool. Il protagonista e produttore di quel film, Ryan Reynolds, ha detto di essere «estremamente dispiaciuto» della mancata certificazione ma di non avere mai preso in considerazione di modificare il film. Una integrità artistica che potrebbe non essere scontata per produttori ammaliati dalla promessa di enormi guadagni. La Cina limita attualmente a 34 il numero di film stranieri distribuiti ogni anno e chiede sempre più spesso di porre condizioni alle coproduzioni, quali l’uso di attori e location cinesi nel Black Hat di Michael Mann dove a fronte di investimenti cinesi, accanto a Chris Hemsworth recitavano Leehom Wang e Wei Tang e il grosso dell’azione avveniva in Cina. Lo stesso vale per la franchise dei Transformers che ha preso una piega decisamente orientale nel cast e nei paesaggi, da quando la cinese Huahua Media ha investito nella produzione.
I NUOVI STUDIOS
E la produzione è la decisamente la nuova frontiera per i Cinesi. La scorsa settimana è stata annunciata la costruzione di nuovi studis a Congqing al costo di $2miliardi. E la stessa Wanda è titolare del più mastodontico sviluppo in questo settore: la Qingdao Oriental Movie Metropolis è un mastodontico complesso che comprende studi cinematografici, parco a tema, alberghi, complesso commerciale e residence con porto per imbarcazioni private. Un progetto da $8,3 miliardi che è il fiore all’occhiello di Wang Jianlin e che è stato inaugurato con le riprese de La Grande Muraglia un kolossal con Matt Damon e cast cinese girato in lingua inglese da Zhang Yimou, ad oggi la maggiore coproduzione sino-hollywodiana. Alla inaugrazione della «Hollywood d’oriente» come viene promossa la nuova «città del cinema» (con tanto di scritta sulla sovrastante collina) erano presenti l’anno scorso Nicole Kidman, Kate Bosworth, Christoph Waltz, Catherina Zeta Jones e Leonardo DiCaprio, una vera e propria dimostrazione di forza di una nuova superpotenza del glamour.
SOFT POWER
Visto da vicino l’uomo più ricco della Cina ha l’aria sommessa di un signore cortese, pur se circondato da una falange di sicurezza, guardaspalle e dirigenti educati nelle migliori business school d’America, in identici completi scuri. Venuto per la firma del contratto Dick Clark, ha ribadito, con l’aiuto di un interprete, il concetto di «soft power» – il desiderio di espandere l’inlfuenza cinese, oltre la convenzionale potenza politica. Per la superpotenza comunista-capitalista che ha costruito la propria posizione globale su commercio e manifattura, è un’estensione naturale investire il proprio capitale qui, nella capitale del content, culla della cultura di massa intesa come bene industriale. E Hollywood per molti versi è una controparte ideale con la sua ossessione per i fatturati al botteghino, l’espansione dei mercati e il cinema inteso come prodotto da valorizzare sul mercato globale. Gli studios cinesi aprono la prospettiva di un cinema di era globalista, una delocalizzazione massicia della produzione verso un mercato di bassa manodopera come già accaduto con ogni genere di consumo. Una filiera «culturale» più simile alla produzine di iPhone che non al prodotto «artigianale» del secolo scorso.