Il 25 febbraio il sociale ritorna in Campidoglio. Dopo il fango di mafia capitale gli operatori sociali, le cooperative, le associazioni e il volontariato romano si ritrovano nella sala nobile della Protomoteca per un confronto aperto con sindaco, assessori, consiglieri e cittadini per riprendere il filo spezzato dall’inchiesta che, come spesso accade, ha finito per travolgere tutto un mondo fatto di saperi, esperienze, conflitti.

Dopo anni di tagli e precariato il terzo settore romano ha dovuto subire anche l’onta del disonore a causa del malaffare insidiatosi nei suoi meandri deboli. Il pertugio in cui è passata la criminalità era noto a tutti e da tempo il Social pride insieme a tanti altri soggetti sociali, sindacali e politici andava denunciando il virus dell’emergenza. Una fra tutte, quella inventata a tavolino sui rom. Una emergenza su cui hanno lucrato elettoralmente le destre, a partire dalla tragica vicenda dell’uccisione della Signora Reggiani, ma che ha registrato anche un altrettanto grave cedimento morale e politico del centro sinistra. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Il quinquennio di Alemanno ha prodotto il più grande spreco denaro pubblico sulla vicenda rom partorendo soluzioni mostruose e prive di senso.

Alemanno e le destre, prigioniere del sogno di cacciare i famosi ventimila rom e clandestini da Roma, hanno finito per creare una piccola industria del controllo e della segregazione sperperando denaro pubblico tra bonifiche, nuovi campi, sorveglianza armata e prebende per gli amici. Ma il bilancio per noi va fatto sui un ciclo più lungo che riguarda anche le politiche delle amministrazioni precedenti. Non è un bilancio lusinghiero, su questo tema come su quello dell’accoglienza di migranti e profughi, sulla lotta alle tossicodipendenze, come sul tema della casa o sui minori, sulla disabilità o sugli anziani, da anni, nonostante i tentativi di dare sistematicità e coerenza alle politiche sociali romane attraverso i Piani regolatori, il mondo del sociale denuncia ritardi e carenze che pesano come macigni.

I grandi mali del sociale a Roma, che risentono anche della mancata approvazione della legge regionale di applicazione della 328, si possono riassumere nella mancanza di linearità e trasparenza nel rapporto tra amministrazione e soggetti sociali; assenza di una visione capace di andare oltre le forme di affidamento dei servizi con modalità contorte e spesso improvvisate; la cronicizzazione di servizi che funzionano da anni sotto forma di progetti e si rinnovano sempre più in affanno con meno risorse e maggiore precarietà sia per i lavoratori che per i beneficiari.

Il 25 febbraio vogliamo confrontarci con il nostro sindaco su come intende dare vita ad un serio progetto di radicale revisione del modello partecipativo che investa terzo settore e cittadinanza attiva, partendo dall’esperienze concrete in atto nella città, dalle eccellenze e dai punti di debolezza e incoerenza; vogliamo parlare di risorse e bilancio perché i soldi pubblici non vanno sprecati, specie in tempo di crisi, ma la crisi obbliga ad investire di più nel sociale perchè essa ha aumentato a dismisura le aree di fragilità. Ci aspettiamo un plus di investimenti nel sociale più utili, qualificati, efficaci, persino creativi, ma con il segno più.

Vogliamo segnali concreti sulla vicenda della Agenzia sulle tossicodipendenze, sulla gestione dei centri di accoglienza e sul superamento dei campi rom, sul finanziamento dei centri di aggregazione giovanile, così come ci aspettiamo un rilancio della funzione dei centri polivalenti per anziani. Anche il dibattito sulla destinazione del patrimonio pubblico a partire dal diritto all’abitare non può prescindere da un impegno serio e tangibile per mettere a disposizione della società civile organizzata gli spazi necessari a produrre socialità, benessere e partecipazione nei territori. Nelle tante Torsapienze di Roma non servono solo commissariati, ma luoghi di aggregazione e presidi di welfare comunitario.