Città formicaio di pellegrini che a vario titolo e su percorsi variabili affrontano El Camino, Santiago de Compostela ha accolto la ventesima edizione del Womex (22-26 ottobre), il mercato della world music con vocazione export. Una kermesse in crescita sotto il profilo della partecipazione: più stand e delegati, una diffusa sensazione di ritorno all’ottimismo rispetto alla passata edizione a Cardiff.

Tutto fa, anche la location: storicamente la fiera – festival si esprime al meglio nelle località mediterranee. Duemila delegati in rappresentanza di oltre 100 paesi e 3.000 ingressi complessivi ai concerti. A disposizione della comunità dei «womexicans» l’accogliente e razionale sede diurna della Cidade da Cultura, i due palchi prospicienti e coperti eretti nella centralissima Praza da Quintana, nonché location affascinanti come il Teatro Principal. Qui il primo incontro emozionante è con lo spagnolo Germán Díaz e il suo «Método Cardiofónico»: un concerto per ghironda e clarinetto, intriso di cameristica, folk ed effetti dub, con un organo a rullo perforato e un vecchio grammofono a offrire un tocco vintage di sostanza, non solo d’arredo.

La critica iberica ha speso il paragone con Jimi Hendrix, ma se forzatura deve essere tanto vale spostarsi su un Bill Frisell della ghironda. Strumento dal quale si plana direttamente verso il morin khuur, liuto a due corde simbolo della tradizione mongola che ha trovato casa blues garage in seno agli Ajinai, quartetto di Pechino formidabile per il groove apolide anche funk e reggae. Qualche effetto e un bassista rasta inseriscono il gruppo cinese nel fil rouge che lega le proposte meno folk del festival.

Sono tre letterine magiche, ormai esperanto: dub. Affiora nel sound al passo con i tempi dei Batida, che ballano tra Angola e Portogallo; rimbalza nel sempre brillante show di un Baloji in evoluzione permanente con il suo mélange di soukous, funky, rap e reggae; arriva nella seconda parte del live di Kuenta I Tambu, targati Curaçao e Olanda, che dopo un po’ di girovagare a vuoto trovano la combinazione per aprire la camera dell’eco e diventano di colpo interessati e profondi.

Tra le voci, spicca il set dell’israeliana di sangue falasha Ester Rada, rivendica con charme e credibilità la primogenitura del filone ethio – soul con un set cosmopolita e grintoso. Mentre il più esperto Sékouba Bambino porta il canto dolce e doloroso di una Guinea Conakry ferita dal virus ma tenace e orgogliosa.