Xi Jinping è stato l’ultimo tra i «grandi» capi di stato a chiamare Donald Trump ma potrebbe essere il primo a incontrarlo. Dopo alcuni giorni di silenzio, intesi come forte perplessità da parte cinese rispetto all’elezione del miliardario, Xi Jinping ha alzato il telefono e ha parlato con il presidente eletto americano. Secondo i media di stato cinesi Xi avrebbe invitato il neo inquilino della Casa bianca a «cooperare» per migliorare le relazioni tra Cina e Usa. Da parte sua Trump avrebbe fatto riferimento a una «win-win situation» tra i due paesi: si tratta di una ipotesi – eventuale – salutata con attenzione dai cinesi, perché mai usata durante le ultime amministrazioni americane che avevano invece giocato molto sulla contrapposizione con la Cina. A Pechino però l’allerta è altissima, la tensione è evidente, al pari della curiosità di intuire le prime mosse di Trump.

Ci sono almeno tre livelli di discussione che vengono affrontati in queste ore in Cina riguardo la novità offerta da Trump: chi è – intanto – il miliardario e quale sarà il suo approccio generale rispetto all’amministrazione americana; che influenze avrà il suo atteggiamento sulla bilancia commerciale dei due paesi; che idea ha e cosa metterà in pratica a proposito dell’area del Pacifico, in particolare riguardo le zone di mare conteso da Cina e resto del continente asiatico.

BUSINESSMAN A Pechino hanno sottolineato fin da subito l’approccio «business» di Trump. Per i cinesi questa caratteristica si associa con una delle qualità preferite al di qua della Muraglia: la praticità. Trump, si dice, alla fine avrà ben chiaro, come uomo d’affari, cosa consentirà all’America di guadagnarci e cosa no. Queste certezze tuttavia sono messe in dubbio dalla potenziale imprevedibilità del soggetto, dal suo essere «naive». Clinton era conosciuta dall’amministrazione cinese, Trump è un salto nel vuoto.

BILANCIA COMMERCIALE La campagna elettorale e le prime parole di Trump, allo stesso tempo, non fanno dormire sogni tranquilli a Pechino. La Cina ha una larga fetta del debito statunitense, oltre 1.200 miliardi di dollari. In secondo luogo la bilancia commerciale dice chiaramente che gli Stati uniti importano dalla Cina beni per oltre 400 miliardi di dollari, mentre ne esportano in Cina poco più di 100. Questo provoca un deficit della bilancia commerciale statunitense, senza tenere conto, però, che gran parte del materiale importato è assemblato in Cina ma si tratta di prodotti statunitensi (un esempio è costituito dagli Iphone).

La minaccia di Trump di imporre dazi al 45% sulle merci cinesi (oltre alla possibilità di denunciare la Cina come manipolatrice di valuta) è un’ipotesi che Pechino potrebbe pagare e non poco. A questo proposito, al di là dei convenevoli presidenziali, ieri il Global Times, quotidiano ufficiale del partito comunista cinese, ha avvertito Trump: «eventuali nuove tariffe» potrebbero innescare immediate «contromisure»: «gli ordini di Boeing saranno sostituiti da Airbus. Le auto e gli iPhone venduti dagli Usa in Cina subiranno una battuta d’arresto e le importazioni di soia e di mais degli Stati uniti verranno interrotte. La Cina potrebbe anche limitare il numero di studenti che vanno a studiare negli Stati Uniti».

Insomma, spiegano al neo presidente gli editorialisti del Global Times, rendere le cose difficili alla Cina «non gli porterà nulla di buono».

MARI E ISOLE Un altro ambito nel quale i cinesi aspettano di capire le mosse di Trump è quello del Pacifico. Stando a diversi articoli pubblicati da advisor del tycoon o dai media di Taiwan, vicini agli Usa, l’intenzione potrebbe non essere quella di lasciare campo aperto alla Cina. Non sono pochi a prevedere una prova di forza di Trump, attraverso navi mandate a confermare l’idea Usa di mare internazionale. È ipotizzabile che questo tema, con le questioni commerciali, costituirà uno dei punti all’ordine del giorno nel futuro incontro tra Xi e Trump.