Il 13 giugno saranno 150 anni dalla nascita di William Butler Yeats, poeta nazionale irlandese che domina la poesia di lingua inglese del primo Novecento. Sicché quando il 16 giugno scoccherà l’annuale Bloomsday joyciano si potranno festeggiare insieme il Poeta sommo e il Prosatore maledetto, padre e figlio (a loro modo). Quando Yeats morì in Francia nel 1939 Joyce gli mandò da Parigi una corona, con gesto di generosità irlandese. Quando poi le ossa di Yeats furono riportate in Irlanda, «sotto Ben Bulben», da una nave militare a guerra finita, anche Joyce non era più fra i vivi, e le sue ossa non saranno riportate nella «cara sporca Dublino». Ma appunto già nel primo episodio di Ulysses, Stephen associa il ricordo della madre morente con i versi di Yeats: «And no more turn aside and brood / Upon love’s bitter mysteries / For Fergus rules the brazen cars».
Sono versi musicali dalla raccolta The Rose, uscita nel lontano 1893, la seconda di Yeats. Una nuova traduzione delle prime tre raccolte è apparsa recentemente, W.B. Yeats, L’opera poetica (1889-1899), a cura di Carlo Franzini (Book Editore, pp. 221, euro 14,00). Ecco la traduzione di Franzini: «Chi ora salirà sul carro di Fergus, / e penetrerà la profonda intricata ombra del bosco, e danzerà sulla spiaggia piana?…» E poi i versi intonati da Stephen: «E non distrarti più a pensare / al mistero amaro dell’amore; / perché Fergus governa i carri bronzei, / e governa le ombre dei boschi, / e il seno bianco del mare oscuro / e tutte le scarmigliate stelle errabonde».
Un mondo molto poetico che potrebbe spazientire il lettore italiano. Ma in Yeats ogni aggettivo è azzeccato, e i versi si imprimono per il loro andamento interrogativo anche nella memoria di chi non vuol indagare chi sia Fergus (un re, chissà, certo un nome evocativo). Carlo Franzini progettava un’edizione completa di cui questo doveva essere solo il primo volume (professore di Fisiologia umana a Bologna e poeta, è scomparso il 26 marzo). Non ha aggiunto note, ma il libro della Book si raccomanda per la bella stampa e le pagine spaziose e leggibili. Un buon lavoro di resa in un italiano limpido.
Ma come rendere quel «no more turn aside and brood»? «Non voltate, voialtri, il capo là al rovello / sul mistero amaro dell’amore» (Alessandro Gentili, in Yeats, I cigni selvatici a Coole, Passigli 2008). «E non sviatevi più a rimuginare / sull’amaro mistero dell’amore» (Ariodante Marianni, in Yeats, L’opera poetica, Mondadori 2005). To brood è riflettere, ma in inglese ricorda anche lo Spirito che nel Genesi broods on the waters, meditava-alitava sulle acque dell’universo incipiente, oppure covava come colomba. Forse Franzini adottando il semplice «pensare» ha trovato la soluzione più diretta.
Il centro della citazione sta in quel love’s bitter mystery (la madre che muore miseramente, amata e avversata), ma a Stephen torna in mente la movenza No more turn aside and brood… «Turn aside» probabilmente suggerisce un discostarsi in solitudine, «Non discostarti a meditare». Fra l’altro il verso precedente già introduceva quel meditare o brooding: «And brood on hopes and fears no more. // And no more turn aside and brood». È una bella ripetizione con inversione a chiasmo (brood-no more / no more-brood), una figura retorica, che nessuna delle tre traduzioni riesce a riprpdurre. Ci si potrebbe pensare…
Intanto si riscontra ancora una volta l’utilità dell’editoria di poesia, la sola a offrire regolarmente il testo a fronte e con ciò la possibilità al lettore di indagare forme e strutture, ascoltare e confrontare musiche, fare anche un po’ di esercizio di lingua. Poche parole di grande ricchezza e colte insieme a un altro lettore privilegiato che ci dice (traducendo) come suonano a lui.
Vale la pena di immergersi nelle prime tre raccolte di Yeats offerteci elegantemente dal compianto Carlo Franzini. I titoli sono Incroci (Crossways), La Rosa, simbolo caro al mistico (sui generis) Yeats («Rosa rossa, Rosa orgogliosa, Rosa triste dei miei giorni! / Vieni vicino a me…»), e (terza raccolta) Il vento tra le canne (The Wind Among the Reeds). Quest’ultima include celebri poesie d’amore con lunghi titoli vagamente preraffaelliti come L’amante piange la perdita dell’amore, Lui piange il cambiamento avvenuto in lui e nell’amata e desidera la fine del mondo, Lui rimprovera il chiurlo.
Yeats meditava La vita nuova.
Ma in queste pagine inattuali c’è una grande forza, quasi una violenza. Yeats non vende parole, anche se un verso spesso citato recita «words alone are certain good», solo le parole sono un bene sicuro. Parla con forza recisa. Come in Oscar Wilde (che aveva solo undici anni più di Yeats), c’è in lui uno spirito robusto e sarcastico. Ecco il rimprovero al chiurlo: «Oh chiurlo, non gridare più nell’aria, / o solo alle acque dell’Ovest; / perché il tuo grido mi fa ricordare / occhi cupi di passione (passion-dimmed eyes) e la lunga folta chioma / che fu scossa sopra il mio petto; / c’è abbastanza male nel grido del vento».
Una caratteristica della poesia di Yeats è di avere un parlante sempre molto presente e diretto, che usa le parole come gesti, ci presenta una situazione di tensione e reazione reale. Anche per questo tanti testi di Il vento fra le canne hanno trovato spazio nelle antologie: «Quando ti avvolgo tra le mie braccia io premo / il mio cuore sulla leggiadria / che da tempo è scomparsa dal mondo…». Il poeta scrive versi memorabili, che tutti ripeteranno: «L’ho ricavato da una boccata d’aria, / i figli dei loro figli diranno che hanno mentito». Ci racconta la sua scoperta dell’amore fisico, alluso con quei capelli dell’amata che gli si riversano sul petto.
Il tema amoroso rientra in una struttura di respiro dantesco coincidente in parte con la biografia. L’amore per Maud, l’attrice patriota che gli preferirà un agitatore politico ma resterà la donna della vita e della poesia, la passione per Olivia (quella dei capelli riversati, che ebbe la bontà, si disse, di «sbarazzarlo della verginità»), il matrimonio con la mediumistica George, con cui si dedicò alla composizione del suo trattato astrologico sulle fasi della luna, Una visione (lei dettava ciò che le ispiravano certi fantasmi, lui annotava e leggeva Spengler e Gentile).
Queste vicende di poetici e astrologici amori si intravedono nel bel volumetto La rosa del mondo e altre poesie d’amore (a cura di Alessandro Gentili, Passigli, pp. 137, euro 14,50). Dove seguiamo l’irrobustimento progressivo della voce di Yeats, che da poeta ottimo della fin de siècle diventa il primo dei modernisti a cui i vari Eliot Pound Larkin Hughes guardano con stupore. Scrive drammi turbinosi, Purgatorio, Calvario, in cui mostra un mondo di violenza, padri che uccidono figli, Cristo come Dioniso che risorge per distruggere il mondo antico di cui è tuttavia ripetizione. Il cigno con Leda, l’angelo con Maria… Siamo alle soglie della seconda guerra mondiale e Yeats è quello che forse meglio canta il senso del disastro imminente: «E quale cosa violenta, giunta infine la sua ora, / striscia verso Betlemme per nascervi?».
Dunque, grazie a Carlo Franzini e agli altri traduttori ed editori il lettore italiano è ben preparato ad affrontare l’anniversario della nascita di questo genio, la cui opera e personalità multiforme da noi non sono ancora veramente assimilate: lo si associa di solito al Crepuscolo celtico, cioè alla fin de siècle, senza apprezzarne gli aspetti nietzschiani di cantore di una modernità traumatica ed esaltante.