Azzardare ipotesi sull’esatta matrice e sulla «regia politica» dell’attentato alla redazione di Charlie Hebdo è prematuro, ma alcuni elementi sembrano indicare una pista plausibile. «Dite ai media che è al Qaeda nello Yemen», avrebbero affermato gli attentatori prima dell’incursione nella redazione, secondo la testimone Cédric Le Béchec, citata dal quotidiano The Telegraph. La testimonianza non è sufficiente a indicare l’appartenenza dei fratelli Said e Cherif Kouachi – uccisi ieri dalle forze speciali francesi a Dammartin-en-Goële – alla fazione yemenita dell’organizzazione fondata dallo sceicco Osama bin Laden, ma risulta coerente con l’accanita battaglia di al Qaeda nella penisola arabica (Aqap) – la branca ufficiale di al Qaeda che opera in Yemen e Arabia saudita – contro gli interessi francesi, tanto che alcuni analisti già dal tardo pomeriggio di mercoledì parlavano di una Yemen connection.

Al Qaeda nella penisola arabica accusa da tempo la Francia di perseguire con il suo interventismo in politica estera una rinnovata volontà coloniale, di voler occupare terre islamiche imponendo i propri valori. Da questo punto di vista la strage di Parigi colpisce un giornale satirico, colpevole di aver ironizzato sul profeta Maometto e sulla religione islamica, ma mira anche, se non soprattutto, alla Francia, alle scelte muscolari del governo e alla sua presenza militare in aree di conflitto. Non a caso, la retorica anti-francese si è fatta più virulenta proprio a partire dall’inizio del 2013, contestualmente alle operazioni militari condotte dall’esercito francese in Mali. Da allora in poi, l’intelligence d’oltralpe ha registrato con sempre maggiore preoccupazione gli appelli a combattere contro i francesi. Mentre la cronaca ha registrato dal 2012 molti attentati nei confronti di obiettivi francesi, ricordano gli analisi di The Long War Journal. A partire dall’attacco del 6 ottobre 2012 contro la petroliera Limburg, che ha causato la morte di un uomo dell’equipaggio e il versamento nel Golfo di Aden di 90.000 barili di petrolio, fino ai due razzi lanciati il 18 dicembre scorso sul terminale di gas del porto yemenita di Balhaf (per il 39.6% in mano alla Total), un atto rivendicato il 21 da Aqap.

Secondo un funzionario statunitense citato dal New York Times, uno dei due fratelli, Said, nel 2011 avrebbe ricevuto addestramento per qualche mese in un campo di Aqap, proprio nello Yemen. La radicalizzazione dei fratelli Kouachi risale comunque a molto prima: già nel 2008 Cherif Kouachi sarebbe stato condannato a tre anni di prigione (di cui 18 mesi sospesi) per aver fatto parte di una cellula jihadista che aveva il compito di reclutare combattenti da spedire al «fronte», soprattutto in Iraq, per aiutare Abu Musab al-Zarqawi, spietato leader di al Qaeda in Iraq, ucciso nel 2006. La cellula parigina di cui faceva parte Cherif Kouachi era guidata dal 27enne Farid Benyettou, condannato a 6 anni, ed era soprannominata del 19esimo Arrondissement, o secondo altre fonti di Buttes Chaumont, dal nome del parco principale della zona. Nel carcere di Fleury-Mérogis, nella periferia meridionale di Parigi, Cherif avrebbe incontrato Djamel Beghal, il jihadista legato al predicatore radicale Abu Hamza, leader della moschea londinese di Finsbury Park. Cherif è stato poi arrestato di nuovo nel maggio 2010, con l’accusa di aver pianificato l’evasione di Smain Ali Belkacem, in carcere per gli attacchi alla stazione di Parigi del 1995. Anche il fratello Said venne coinvolto nell’inchiesta, ma entrambi sono stati liberati per mancanza di prove.

Molti giornali sostengono che i due fratelli Kouachi fossero rientrati in Francia dalla Siria la scorsa estate. Proprio lì potrebbero aver avuto contatti con il gruppo Khorasan, a cui al Qaeda nella penisola arabica ha «ceduto» diversi combattenti, o con gli stessi membri dello Stato islamico. Il contatto con i seguaci del Califfo potrebbe essere il jihadista tunisino Boubaker el Hakim, che lo scorso mese è comparso in un video pro-Stato islamico, rivendicando l’omicidio di due politici tunisini, e che in passato è stato un membro della cellula parigina del 19esimo Arrondissement. Sui social network i simpatizzanti di al Qaeda nella penisola arabica e dello Stato islamico fanno a gara a lodare l’azione e, da ieri sera, il martirio dei fratelli Kouachi, anche se per ora non c’è nessuna rivendicazione ufficiale. E dietro alle rivendicazioni dei militanti si nasconde una guerra interna al fronte jihadista: tra Aqap e lo Stato islamico non corre buon sangue. Da mesi i membri di Aqap criticano le scelte del leader dello Stato islamico, Abu Bakr al-Baghdadi, e in primo luogo la sua auto-proclamazione come Califfo. A criticare il Califfo è stato uno dei pezzi grossi di Aqap, Harith bin Ghazi al Nadhari. Il quale a fine novembre ha ribadito fedeltà al leader di al Qaeda, Ayman al Zawahiri, e accusato al-Bagdhadi di aver fomentato le divisioni nella comunità islamica, «una cosa assolutamente proibita nella religione di Allah».